Lo scioglimento della comunione dei beni tra coniugi

scioglimento della comunione dei beni

Quando e come è possibile sciogliere la comunione dei beni

La comunione legale dei beni è un regime patrimoniale che determina la condivisione dei coniugi di ogni aumento di ricchezza conseguito dopo il matrimonio, anche se questo scaturisce dall’operato di uno solo di loro. Al momento del matrimonio questo regime si instaura automaticamente almeno che gli sposi non segnalino di voler agire diversamente.

Scioglimento della comunione dei beni

La comunione dei beni può essere anche sciolta dopo il matrimonio.

Le principali cause di scioglimento sono:

  • Morte di uno dei coniugi;
  • Sentenza di divorzio;
  • Dichiarazione di assenza o morte presunta di uno dei coniugi;
  • Annullamento del matrimonio;
  • Separazione legale dei coniugi;
  • Fallimento di uno dei coniugi;
  • Separazione giudiziale dei beni;
  • Convenzione tra i coniugi

Scioglimento della comunione dei beni e divorzio

Quando i coniugi si separano, lo scioglimento della comunione dei beni si chiama divisione.

Al momento dello scioglimento, cessa il regime di coacquisto e tutti i beni acquistati singolarmente da ciascun coniuge rimangono di proprietà dello stesso.
In seguito è necessario procedere alla divisione dei beni comuni, che vanno divisi sempre a metà fra marito e moglie: la divisione può essere convenzionale (di comune accordo) o giudiziale (è uno dei due coniugi che la propone all’altro).

Con la legge sul divorzio breve, i tempi per lo scioglimento della comunione dei beni in seguito alla separazione si sono molto accorciati.

Fino a questo momento infatti gran parte della giurisprudenza prevedeva che lo scioglimento della comunione si avesse solo con l’adozione del decreto di omologa (nella separazione consensuale) o con il passaggio in giudicato della sentenza (in caso di separazione giudiziale). In altri casi, lo scioglimento si faceva partire dal provvedimento del Tribunale che autorizzava i coniugi a vivere separati.

Già quest’ultima opzione interpretativa anticipava e di molto lo scioglimento della comunione. Se 6 o 6 mesi sono una tempistica media dal deposito del ricorso al provvedimento del Presidente del Tribunale, per l’emissione della sentenza di separazione si parla anche di anni, poiché il giudizio di separazione è una causa ordinaria.

Per arrivare poi al passaggio della sentenza in giudicato possono passare altri anni, perché la sentenza può essere impugnata e che la discussione si sposti al giudizio di Appello e infine a quello di Cassazione.

La legge sul divorzio breve ha quindi deciso di adottare la soluzione più veloce, consentendo una soluzione più veloce ai coniugi che decidono di separarsi per ottenere da subito anche lo scioglimento della comunione dei beni.

Passaggio dalla comunione dei beni alla separazione

Durante il matrimonio nulla vieta ai coniugi di passare dal regime di comunione dei beni a quello di separazione. Per farlo è necessario rivolgersi ad un pubblico ufficiale, nella fattispecie un notaio (non basta l’ufficiale di stato civile del Comune) e la modifica deve essere annotato sull’atto di matrimonio.

Nullità e annullamento del matrimonio civile

nullità e annullamento del matrimonio

Le cause antecedenti o concomitanti che portano ad annullare un matrimonio

Il matrimonio viene considerato invalido, e quindi annullabile, a causa di vizi antecedenti o concomitanti alla sua celebrazione. Il Codice Civile prevede motivazioni ben precise che portano a nullità e annullamento del matrimonio.

Nullità e annullamento del matrimonio

L’azione di nullità (regolamentata da due norme del Codice Civile, art. 1421 e 1422 c.c) ha una natura di accertamento, mentre la sentenza che la definisce è di natura dichiarativa.

L’azione di nullità può essere intrapresa da chiunque vi abbia interesse legittimo, non è soggetta a prescrizione e non prevede sanatoria.

L’annullamento è invece soggetto a prescrizione decennale e può essere oggetto di sanatoria.

Cause di nullità del matrimonio:

  • L’esistenza di rapporti di parentela, affinità e adozione (art. 87 cc). Possono essere causa di nullità matrimoni celebrati tra ascendenti e discendenti in linea retta sia legittimi che naturali; fratelli e sorelle, consanguinei, affini in linea retta, adottante e adottato e suoi discendenti, adottante e coniuge dell’adottato.
  • La condanna per l’omicidio, consumato o tentato, da parte di uno dei coniugi nei confronti dell’altro.
  • L’esistenza di altro matrimonio valido che riguardi uno o ad entrambi gli sposi

Cause di annullamento del matrimonio: (c.d. annullabilità assoluta)

  • I rapporti di parentela, affinità e adozione per i quali è ammessa la dispensa. Per queste ipotesi l’annullamento deve avvenire entro un anno della celebrazione
  • Se al momento della celebrazione del matrimonio uno degli sposi è interdetto oppure e già infermo e viene interdetto in un secondo tempo
  • Se uno dei due sposi sia stato incapace di intendere e volere al momento della celebrazione
  • In caso di matrimonio celebrato quando uno dei due sposi è minorenne, ma l’azione di annullamento non è valida se il nubendo o la nubenda compiono la maggiore età, vi sia stato concepimento o procreazione e venga manifestata sia la volontà di conservare il matrimonio.
  • Esistenza di vizi della volontà di uno dei coniugi o di entrambi. I vizi di volontà sono la violenza, cioè l’estorsione del consenso sotto minaccia o dell’altro coniuge o di terzi, e l’errore. L’errore che porta all’annullamento del matrimonio è quello che induce uno dei due coniugi a non conoscere al momento del matrimonio l’identità personale o qualità ritenute essenziali dell’altro coniuge (ad esempio malattie, condanne, stati di gravidanza)

Conseguenze di nullità e annullamento del matrimonio

Nullità ed annullamento del matrimonio comportano il ritorno dei due coniugi allo stato libero con effetto retroattivo, come se il matrimonio non fosse mai stato celebrato. Il matrimonio viene detto “putativo” quando entrambe i coniugi lo ritengono valido anche se successivamente viene annullato.

Se i coniugi hanno celebrato il matrimonio in buona fede, senza sapere che esistesse una causa di nullità, o se entrambe sono stati costretti da una violenza esterna, il giudice può disporre un assegno di mantenimento a favore del coniuge che non abbia mezzi di sussistenza, per un periodo massimo di tre anni.

Se uno dei due coniugi era invece in mala fede, su di lui ricadono gli obblighi di una indennità congrua a favore del coniuge ignaro e il versamento degli alimenti laddove dovuti.

Il fondo patrimoniale: cos’è e a cosa serve

fondo patrimoniale

Uno strumento che permette ai coniugi di tutelare gli interessi della famiglia

Che cos’è il fondo patrimoniale 

Il fondo patrimoniale è un vincolo che, nell’interesse della famiglia, “blocca” un complesso di determinati beni (mobili, immobili, titoli di credito): costituisce un patrimonio separato la cui funzione è produrre beni per il soddisfacimento dei bisogni di mantenimento e assistenza nell’ambito della famiglia.

E’ considerato un atto di liberalità quindi un atto a titolo gratuito e gode per questo di una disciplina particolare: i coniugi non possono usare i beni che formano il fondo per scopi che siano estranei agli interessi della famiglia, inoltre questi beni sono al riparo dai creditori dei coniugi.

Il fondo patrimoniale può essere costituito da un solo coniuge, da entrambi o da un terzo, che comunque deve avere l’assenso degli sposi, o tramite un testamento. Condizione necessaria per la costituzione di un fondo è essere sposati o fidanzati, nel secondo caso il fondo diventerà valido solo al momento del matrimonio.

Il fondo patrimoniale: caratteristiche

Possono essere oggetto del fondo patrimoniale beni immobili, mobili e titoli di credito. Oggetto del fondo, e quindi vincolati, non sono i beni in sé stessi, ma i diritti sul bene che possono essere l’usufrutto, la superficie, l’enfiteusi o la nuda proprietà.

Ogni fondo può essere associato ad una sola famiglia: il vincolo di destinazione non può riguardare i bisogni di più nuclei.

Amministrazione del fondo patrimoniale

Il fondo è regolato dalle stesse norme che regolano la comunione legale dei beni: occorre quindi distinguere fra ordinaria amministrazione, per la quale l’amministrazione dei coniugi può essere disgiunta, e straordinaria amministrazione, che prevede invece l’assenso di entrambe i coniugi.

E’ comunque possibile, di fronte al rifiuto dei uno dei coniugi, per l’altro rivolgersi al giudice se convinto che l’atto di straordinaria amministrazione sia nell’interesse della famiglia. E’ possibile rivolgersi al giudice anche se uno dei due coniugi è lontano o impedito, o se a giudizio dell’uno l’altra sta male amministrando.

I beni del fondo e i loro frutti non possono essere sottoposti a sequestro o esecuzione forzata per contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

La costituzione del fondo patrimoniale va annotata a margine dell’atto di matrimonio, in particolare la data, il notaio che si è occupato del rogito e le generalità dei contraenti. Vanno annotate anche le eventuali modifiche e il tutto viene conservato nei registri del comune in cui il matrimonio è stato celebrato.
Questa forma di pubblicità del fondo ha una natura dichiarativa: rende l’atto costitutivo del fondo in grado di opporsi agli eventuali terzi che vogliono acquisire diritti sul fondo stesso.

Modifiche e cessazione del fondo

Il fondo, una volta costituito, può anche essere modificato sia in termini di disciplina che di composizione.
Le modifiche della disciplina richiedono il consenso di tutti coloro che avevano parte dell’atto costitutivo e in caso di morte, dei loro eredi. Le variazioni sulla composizione invece possono riferirsi ad accrescimenti o diminuzioni e vengono regolate sempre dalla disciplina dell’amministrazione del fondo.

Se il fondo cresce, se ne può creare un altro, anche con discipline diverse, sempre per soddisfare le esigenze della stessa famiglia.

Il fondo patrimoniale cessa di esistere e dunque si estingue per:

  • Scioglimento;
  • Cessazione degli effetti del matrimonio.
  • Annullamento;

Se sono coinvolti figli minorenni, il fondo dura comunque fino al raggiungimento della loro maggiore età.

Comunione convenzionale dei beni e comunione legale: la differenza

comunione convenzionale dei beni

I due regimi sono simili, ma con alcune differenze fondamentali

La comunione legale dei beni è quel regime patrimoniale che si instaura con il matrimonio laddove non venga specificata una volontà diversa degli sposi: questa consuetudine è in atto dal 1975, quando con la riforma è stata equiparata la posizione patrimoniale dei coniugi.

La comunione legale non è però l’unica scelta a disposizione degli sposi: possono optare per la comunione convenzionale dei beni o per la separazione dei beni.

La comunione dei beni

In linea generale, rientrano nella comunione dei beni tutti i beni acquistati dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, i proventi dell’attività lavorativa di ciascun coniuge e le aziende gestite da tutti e due e costituite dopo il matrimonio, così come i beni comprati con il denaro di un solo coniuge. Non rientrano nella comunione, al contrario, i beni personali e che i coniugi ricevono per donazione e eredità, oppure che sono stati acquistati prima delle nozze. Il regime di comunione dei beni può essere modificato o sciolto per volontà dei coniugi, questo accade automaticamente in caso di morte dei uno dei due. La comunione dei beni va sempre amministrata congiuntamente, fatta eccezione per l’ordinaria amministrazione.

La comunione convenzionale dei beni

La scelta della comunione convenzionale dei beni può essere vista come una via di mezzo fra comunione e separazione. Con questo regime, infatti, i coniugi accettano la comunione dei beni ma decidono di regolarla tramite un atto notarile. Questa forma patrimoniale infatti ha un carattere convenzionale in quanto è il risultato di una volontà espressa da tutte e due le parti.

Questo atto di comunione convenzionale dei beni si stipula per indicare e disciplinare in modo dettagliato quali beni rientrano nella comunione e quali no. Con questo atto i coniugi hanno una libertà maggiore di inclusione ed esclusione dalla comunione dei beni, ma con alcuni punti fermi: l’amministrazione della comunione convenzionale spetta comunque ad entrambe e le quote dei due coniugi sono divise al 50%.

Restano comunque escluse dalla comunione convenzionale dei beni:

  • Beni di uso personale di ciascun coniuge
  • Beni connessi con lo svolgimento della professione
  • Beni che vengono ottenuti come risarcimento di un danno
  • Pensione che viene percepita per la perdita totale o parziale della capacità lavorativa.

Differenze fra comunione dei beni e comunione convenzionale dei beni

Le differenze fra comunione e comunione convenzionale dei beni non sono poi così accentuate: quella fondamentale è che la comunione dei beni si instaura automaticamente al momento del matrimonio, se non diversamente indicato, mentre perché una comunione convenzionale dei beni sia valida questa deve essere stabilita con un atto pubblico e di fronte al notaio.

Fatte salve poi alcune categorie di beni (quelli personali, legati alla professione o provenienti da pensioni di invalidità o risarcimenti), la comunione convenzionale è utile per far ricadere nella comunione dei beni anche quelli che erano di proprietà di uno dei due coniugi prima del matrimonio o i redditi, comunque prodotti, di entrambe durante la vita matrimoniale.

La procedura di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale

delibazione delle sentenze ecclesiastiche

Quando è possibile trascrivere una sentenza di nullità in Italia

Che cos’è la delibazione

 Con il termine «delibazione» si intende la procedura giudiziaria tramite cui in uno Stato viene concessa, dietro domanda specifica, efficacia giuridica ad un provvedimento giudiziario emesso da un altro Stato.

A questa procedura possono essere sottoposte anche le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, che vengono emesse dall’ordinamento giudiziario canonico.

Secondo l’art. 8, n. 2 del Concordato fra Chiesa e Stato infatti, la sentenza ecclesiastica di nullità di un matrimonio concordatario acquista validità nella Repubblica Italiana solo dietro domanda congiunta dei coniugi (o uno di essi), da inoltrarsi alla Corte di Appello.

Domanda di delibazione delle sentenze ecclesiastiche

Le domande di delibazione delle sentenze ecclesiastiche devono essere redatte da un procuratore legale e richiedono la presenza di due presupposti indispensabili:

  • La duplice pronuncia di nullità del matrimonio, che risulti da due uguali decisioni giudiziali emanate in ambito ecclesiastico che dichiarano la nullità del matrimonio,
  • Il decreto di esecutività, rilasciato dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, organo di controllo dell’attività giudiziaria ecclesiastica, che testimonia l’esecutività della pronuncia.

La domanda deve essere presentata alla Corte d’Appello competente per territorialità, basandosi sul comune in cui è stato celebrato il matrimonio.

Prima di rilasciare le sentenze di delibazione la Corte d’Appello effettua alcune indagini.

In particolare:

  • Accerta l’esistenza e l’autenticità delle due pronunce di nullità del matrimonio e del decreto successivo rilasciato dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;
  • Accerta che il matrimonio dichiarato nullo fosse un matrimonio canonico trascritto ai fini civili (quindi un matrimonio cosiddetto concordatario)
  • Accerta che la validità e l’efficacia del procedimento di fronte tribunale ecclesiastico,
  • Accerta che siano soddisfatte anche le condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere:
  1. Assenza di una sentenza passata in giudicato contrastante con quella ecclesiastica
  2. Non esista un giudizio pendente davanti ad un giudice italiano fra le stesse parti con lo stesso oggetto, cioè la richiesta di nullità
  • Assenza di incompatibilità fra la sentenza ecclesiastica e l’ordine pubblico italiano
  • Stabilisce che, una volta resa esecutiva la sentenza nell’ordinamento italiano, il coniuge ritenuto in buona fede possa usufruire di provvedimenti economici provvisori

Effetti della sentenza di delibazione

La delibazione delle sentenze ecclesiastiche fa venir meno gli effetti civili del matrimonio canonico fin dal giorno della celebrazione (restano intoccabili e impregiudicati gli eventuali rapporti di filiazione e gli obblighi ad essi collegati).

Viene meno dunque anche la necessità di fare domanda di divorzio, almeno che esso non fosse già stato sancito.

In questo caso restano invariati gli effetti patrimoniali e personali decisi in sede di divorzio.

La sentenza di delibazione delle sentenze ecclesiastiche non è invece possibile quando si parla di matrimonio rato e non consumato (si tratta di un matrimonio giuridicamente valido tra due persone battezzate a cui non sia però seguito un atto coniugale finalizzato alla generazione della prole) poiché in quel caso si tratta di provvedimenti discrezionali, emessi con procedimento amministrativo e non giudiziario, nei quali non vengono ravvisate le garanzie basilari giurisdizionali sancite dalla Costituzione italiana.

 

 

 

 

Comunione dei beni e fisco

comunione dei beni

Il regime di comunione dei beni e fisco nell’amministrazione economica familiare

Per capire come funziona la comunione dei beni è bene partire dalla sua definizione. La comunione legale dei beni, infatti, è il regime che si instaura fra marito e moglie in mancanza di una scelta differente (anche quindi per tacito accordo), che determina la condivisione da parte dei coniugi degli incrementi di ricchezza raggiunti da entrambe, anche se per effetto dell’attività separata di ognuno di loro.

Fanno parte della comunione dei beni tre tipo diversi di beni:

  • Beni che fanno parte della comunione fin dal loro acquisto: (comunione immediata)

Rientrano in questa categoria gli acquisti compiuti insieme o separatamente dai coniugi durante il matrimonio, le aziende costituite dopo il matrimonio e gestite insieme dai coniugi, gli utili dell’azienda gestita da entrambe ma appartenente ad un solo coniuge da prima del matrimonio.

  • Beni che ricadono nella comunione al momento dello scioglimento della comunione (comunione de residuo)

I redditi personali dei coniugi non ricadono in maniera automatica nella comunione legale.
Si considerano oggetto della comunione dei beni solo al momento dello scioglimento della stessa, se non sono stati consumati. Si tratta quindi dei risparmi, che anche quando sono di proprietà di uno o dell’altro, vengono divisi al momento dello scioglimento.

  • Beni personali, che non rientrano in nessun modo nella comunione

Alcuni beni non rientrano a nessun titolo nella comunione dei beni.

Si tratta dei beni che il coniuge possedeva già prima del matrimonio, che ha acquisito per donazione o successione, derivanti da pensioni o risarcimenti danni

Amministrazione della comunione dei beni

Nella famiglia regolata dalla comunione dei beni l’amministrazione patrimoniale è demandata ad entrambe i coniugi alla pari, senza nessuna gerarchia che veda l’imposizione dell’uno sull’altro.

Per gli atti di ordinaria amministrazione –parliamo quindi di atti volti alla manutenzione o alla conservazione del patrimonio familiare- la legge prevede che possano essere svolti da ciascun coniuge separatamente, anche se gli effetti di questi atti ricadono sul patrimonio di entrambe.

Gli atti di straordinaria amministrazione che portano modifiche significative al patrimonio familiare, hanno invece bisogno del consenso di entrambi i coniugi.

Comunione dei beni e acquisto prima casa

Per l’acquisto della prima casa esistono delle facilitazioni fiscali (Iva al 4%, imposta catastale fissa, imposta ipotecaria fissa, particolari detrazioni Irpef) di cui è possibile godere possedendo determinati requisiti, di cui il fondamentale è non possedere un altro immobile acquistato godendo già delle agevolazioni in oggetto.

Quando si tratta di coniugi in regime di comunione dei beni legale, ed entrambe possiedono questi requisiti, l’agevolazione è loro concessa per l’intero valore dell’immobile, quindi su entrambe le quote dei coniugi.

Se solo uno dei due coniugi possiede i requisiti, l’agevolazione può essere utilizzata solo per il 50% del valore dell’abitazione. Questo perché, come detto in precedenza, rientrano nella comunione legale tutti gli acquisti operati durante il matrimonio anche da uno solo dei coniugi.

 

 

Allontanamento del coniuge: come richiederlo

allontamento del coniuge

Esistono leggi a tutela delle vittime di violenza che impongono l’allontanamento del coniuge

La legge 154/2001 per la tutela delle vittime di violenza

La legge 154/2001, nata per contrastare la violenza nelle relazioni familiari, prevede una tutela provvisoria per le persone vittima di violenza. Si applica in tutti quei casi in cui un convivente –familiare o no- ha comportamenti violenti che creano un pericolo reale per la vittima.

L’allontanamento del coniuge violento dalla casa familiare è una delle misure di protezione che sono previste da questa legge.

Altre misure previste sono:

  • Imposizione di cessare il comportamento violento denunciato dalla vittima
  • Divieto di avvicinarsi alla casa familiare senza permesso del giudice
  • Divieto di frequentare i luoghi abituali della vittima
  • Assegno di mantenimento dovuto alla vittima nel periodo di allontanamento

La misura di allontanamento del coniuge ha una durata predeterminata dal giudice, di solito un anno.

Come ottenere l’allontanamento del coniuge

Nei casi di maltrattamenti in famiglia e stalking, o quando le violenze vengono colte in flagrante, l’allontanamento del coniuge violento viene effettuato d’urgenza direttamente dalla Polizia giudiziaria autorizzata dal Pubblico Ministero, soprattutto nei casi in cui la flagranza di reati gravi sia ricorrente (lesioni, minaccia aggravata, violenze).

In tutti gli altri casi, è necessario ricorrere al Tribunale Civile o denunciare per reato. La legge del 2001 prevede che la vittima possa evitare l’uso di un avvocato, anche se è consigliato visto che l’autore della violenza avrà comunque diritto ad una difesa.

In caso di flagranza (anche nei reati di maltrattamenti in famiglia e stalking), oltre all’arresto obbligatorio, la Polizia giudiziaria se autorizzata dal PM e se ricorre la flagranza di gravi reati (tra cui lesioni gravi, minaccia aggravata e violenze) può applicare la misura ‘precautelare’ dell’allontanamento del coniuge d’urgenza dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Altrimenti è sempre necessario un ricorso al Tribunale civile o una denuncia per reato, dove sarà poi la Procura a decidere se chiedere o meno l’applicazione di queste misure. Questa legge non prevede l’obbligo per la vittima di farsi assistere da un avvocato, ma essendo la legge di applicazione complicata e avendo l’autore della violenza il diritto ad una difesa è consigliabile munirsi sin dall’inizio di un’assistenza legale.

Compiti del giudice

La legge 154/2001 è particolarmente importante sotto questo aspetto, perché permette alla vittima della violenza di evitare la “fuga” dalla casa familiare con tutte le conseguenze psicologiche ed economiche che questa comporta.

Il potere di allontanamento del coniuge compete al giudice:

  • Penale, che può imporre il pagamento periodico di un assegno per la vittima che, a causa dell’allontanamento, resti sprovvista dei mezzi necessari per vivere
  • Civile, che può disporre l’allontanamento del coniuge senza la denuncia penale, quando la sua condotta sia di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale della vittima

Il giudice civile ha anche il potere di richiedere l’intervento dei servizi sociali e di imporre al maltrattante allontanato l’assegno di mantenimento.

Chi non osserva l’ordine di allontanamento esiste un reato apposito (“Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”), punibile con pena fino a tre anni di reclusione o multa.

Il giudice, civile o penale, per poter disporre l’allontanamento del coniuge, ha bisogno di prove documentali o testimoniali che accertino la sussistenza dei maltrattamenti e il pregiudizio per la salute e la libertà della vittima.

 

 

 

Affido dei beni mobili/immobili (Trust)

affido dei beni

Come funziona l’affido dei beni con il Trust, un istituto che permette di “congelare” i beni allo scopo di tutelarli

Che cos’è il trust

Il trust è un istituto di origine anglosassone, la cui tradizione letterale è “fiducia” ma può essere intesa concettualmente come “affido”, intendendo affido dei beni mobili/immobili. Il trust prevede la gestione da parte di un soggetto di beni affidati da terzi per uno scopo specifico, che va a favore di un soggetto o più di uno. Il trust è riconosciuto in Italia a seguito della Convenzione dell’Aja del 1985.

I soggetti del trust sono tipicamente quattro (o più): colui che dispone l’affido dei beni (settlor), colui che li gestisce (trustee), un controllore che vigila sullo svolgimento dei fatti e i beneficiari, coloro quindi che riceveranno i beni dal trustee al termine dell’affidamento.

Teoricamente possono essere conferiti in un trust tutti i beni, mobili o immobili che appartengono a persone fisiche e/o a società (ad es. immobili, conti bancari, azioni societarie, titoli di credito, opere d’arte, piena e nuda proprietà, quote di fondi comuni d’investimento).

Scopi del trust

L’affido dei beni ad un trust avviene in genere per le seguenti finalità:

  • Protezione del patrimonio da eventuali attacchi
  • Protezione di soggetti minori o disabili
  • Il desiderio che un’impresa continui a mantenere lo stesso assetto dopo la morte del fondatore, resistendo a cambiamenti a successivi matrimoni, divorzi, presenza di figli ecc.
  • Gestione di partecipazioni sociali
  • Separazione del patrimonio personale da quello aziendale, utile per tutelare tutti i soggetti il cui patrimonio è messo a rischio a causa delle attività professionali (medici, avvocati, funzionari, ecc.) o da comportamenti personali incauti (droga, alcool, gioco d’azzardo)
  • Costituzione di fondi destinati al raggiungimento di specifici obiettivi, di solito umanitari ma non necessariamente (trust di scopo)

Lo scopo finale del trust è la cosiddetta “segregazione” dei beni, trasferiti dal disponente al trustee, con la “separazione dei patrimoni”. Una volta creato il trust infatti i beni non sono più soggetti alle pretese di creditori di chi ha creato il trust, perché non vengono più considerati parte del patrimonio, e neanche alle pretese degli eventuali creditore del ‘trustee’, perché questo detiene i beni non a titolo personale. Neanche i beneficiari possono sollevare pretese, almeno fino a quando non riceveranno i beni dal trustee.

Rapporto fra disponente e trustee

Al momento dell’affido dei beni da parte del disponente al trustee, viene stilato un atto istitutivo del trust, nel quale vengono stabilite le regole di funzionamento del trust stesso. Viene quindi stabilita la fine del trust e la sua eventuale revocabilità. Va detto però che un trust revocabile non è consigliabile perché in Italia può essere considerato nullo dall’Amministrazione Finanziaria.

Nell’atto istitutivo si possono comunque indicare le circostanze che portano al decadimento del trust (ad esempio, se il trustee non si comporta come previsto nell’atto istitutivo e compie atti che non avrebbe potuto o dovuto compiere)

Al termine del trust, il trustee attribuirà ai beneficiari i beni precedentemente affidati e segregati in trust, secondo le regole che il disponente avrà stabilito nell’atto istitutivo. I beneficiari otterranno comunque il trasferimento dei beni a titolo gratuito.