Il disconoscimento del figlio naturale: cosa dice la legge

disconoscimento del figlio naturale

Le differenze tra il disconoscimento del figlio naturale e quello legittimo

L’azione di disconoscimento del figlio naturale è volta a dimostrare che il figlio riconosciuto in precedenza non è in realtà il proprio figlio biologico, o che sia stato riconosciuto in condizioni di minorate capacità mentali o non in piena libertà.

Figlio naturale e legittimo

Il decreto 154/2013 del Codice civile ha eliminato definitivamente ogni discriminazione tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio, garantendo a tutti la stessa uguaglianza giuridica.

Quindi anche per parlare di disconoscimento del figlio naturale è bene distinguere questa azione da quella invece prevista per il figlio legittimo, visto che le condizioni cambiano in modo radicale quando s’intende contestare il rapporto biologico tra un padre e un figlio nato al di fuori dal matrimonio.

Disconoscimento del figlio legittimo

La legge presume che il marito della madre del bambino sia anche il padre, per quella che si definisce “presunzione di paternità”.

Nel caso in cui, invece, la madre riconosca il figlio come naturale, allora decade naturalmente la presunzione, ma se questo non accade per dimostrarlo è necessario ricorrere al disconoscimento.

Quest’azione si può proporre solo in alcuni casi:

  • Mancata convivenza dei coniugi nel periodo compreso tra il 300simo ed il 180simo giorno prima del parto;
  • Se in questo periodo di tempo l’uomo era affetto da impotenza, o anche se era solo incapace di concepire (ad esempio una malattia poi curata);
  • Se la moglie ha avuto una relazione extraconiugale, nascondendo poi al marito la gravidanza e la nascita del figlio.

Questo significa che il marito non può chiedere il disconoscimento di un figlio che ha riconosciuto essendo consapevole che non fosse proprio; possono intraprendere quest’azione la moglie (entro 6 mesi dal parto), il marito (entro un anno dalla nascita o dal suo rientro in famiglia), il figlio (maggiorenne o in caso abbia 16 anni tramite il curatore), discendenti o ascendenti (in caso di morte del presunto padre o della madre), coniuge o discendenti del figlio (entro un anno dalla sua morte o da quando sono diventati maggiorenni.)

L’azione di disconoscimento non può essere intrapresa dal padre naturale o dagli altri soggetti non elencati prima, nonostante sappiano dell’inesistenza del rapporto biologico.

Disconoscimento del figlio naturale

In questo caso non vi è alcuna presunzione di paternità, neanche in caso di convivenza stabile, quindi l’unico modo per provare il disconoscimento del figlio naturale è promuovere l’azione impugnativa di riconoscimento per difetto di verità; chi può farlo?

  • L’autore del riconoscimento entro un anno dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita, con delle varianti:
  • Se il riconoscimento è stato estorto con violenza, entro un anno da quando questa è cessata;
  • Se prova di non essere a conoscenza della propria impotenza o dell’impossibilità di generare, entro un anno da quando ne è venuto a conoscenza.

Anche la madre che ha effettuato il riconoscimento può provare di aver ignorato l’impotenza del presunto padre.

  • Chiunque ne abbia interesse: per motivi patrimoniali o morali, ma non oltre i 5 anni;
  • Dal figlio: se maggiorenne, o da un curatore se ha almeno 14 anni su sua richiesta, del pubblico ministero o dell’altro genitore, senza prescrizione.

La prova per il disconoscimento del figlio naturale va fatta tramite l’indagine del DNA, ma anche tramite dichiarazioni testimoniali.

Eredità dei figli: a chi va tra figli adottivi, legittimi e naturali?

eredità dei figli

Eliminata anche in materia di eredità dei figli la differenza tra figli legittimi e naturali

Nel caso in cui un genitore muoia senza lasciare un testamento nel quale esprime le sue volontà, come si divide l’eredità dei figli?

La legge italiana stabilisce delle regole molto rigide per quanto riguarda la successione; infatti, anche in presenza di un testamento sono previste delle quote legittime, che spettano ai parenti più prossimi del defunto, che sono il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli e altri parenti.

L’ammontare, quindi, dell’eredità dei figli, dipende dalla presenza del coniuge del defunto.

Se il defunto non lascia alcun testamento (o il testamento è invalido), la successione si dice “totalmente legittima”, perché è solo la legge a stabilire quali sono gli eredi; con il coniuge i parenti più prossimi sono i figli, ed eventualmente i nipoti che succedono per rappresentazione.

Calcolo dell’eredità dei figli

La successione legittima e le relative quote in favore dei figli si calcolano in base al numero di figli e in base alla presenza del coniuge.

Ad esempio:

  • Se non c’è il coniuge e c’è un solo figlio a lui spetta l’intera eredità;
  • Se non c’è il coniuge e ci sono più figli l’eredità deve essere divisa in parti uguali tra di loro;
  • Se ci sono il coniuge e un figlio, al primo spetta ½ e l’altro ½ al figlio;
  • Se ci sono il coniuge e due o più figli al primo spetta 1/3 e i restanti 2/3 vanno divisi tra i figli egualmente.

Ma c’è una differenza tra figli adottivi, legittimi e naturali?

Fino a non molto tempo fa il Codice civile nel disciplinare la successione poneva delle differenza nell’eredità ai figli, distinguendo quelli legittimi (nati all’interno di un matrimonio), quelli naturali (nati al di fuori del matrimonio).

Il decreto legislativo 154/2013, in materia di filiazione, ha abolito in modo definitivo ogni genere di distinzione tra i figli: infatti la legge ora parla solo di “figlio” senza discriminazioni.

Il legislatore già precedentemente aveva eliminato le differenze che c’erano tra figli nati dentro e fuori il matrimonio; infatti, con la legge del 10 dicembre 2012 n. 219 era stato già introdotto il principio della piena uguaglianza tra figli legittimi e naturali, che erano stati equiparati anche per quel che riguarda l’eredità e la successione dei genitori.

E per quanto riguarda l’eredità dei figli incestuosi?

Ai figli frutto di incesto (nati tra genitori legati da un rapporto di parentela), l’art. 580 del Codice civile, riconosceva solo il diritto a un assegno vitalizio, pari alla rendita della quota di eredità a cui avrebbero avuto diritto; questo perché i figli incestuosi non potevano essere riconosciuti, divieto poi rimosso dalla Legge 219/2012.

 

 

Amministrazione dei beni del minore: quali sono le cure e come funziona

amministrazione dei beni del minore

Con quali atti e modalità i genitori possono gestire i beni del figlio minorenne

Nel nostro ordinamento giuridico il minore non è capace di agire, ma non è privo della capacità giuridica; questo comporta che possa diventare titolare di diritti su dei beni, o che sorga la necessità che debba essere rappresentato per il compimento di alcune attività giuridiche.

Per l’amministrazione dei beni del minore è necessario, infatti, che se ne occupino i genitori (se presenti), che in modo congiunto esercitano la responsabilità genitoriale, o quello dei due che la esercita in via esclusiva.

A sancire questo è l’articolo 320 del Codice civile, ce recita così: “i genitori congiuntamente, o quello che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, rappresentano i figli nati e nascituri, fino alla maggiore età o all’emancipazione, in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni.”

E’ necessario però puntualizzare il potere/dovere che hanno i genitori sulla rappresentanza e amministrazione dei beni del minore:

  • Possono essere compiuti da un solo genitore solo gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, che possono invece essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore;
  • Se si presenta un disaccordo tra i genitori circa il compimento di un atto, o quando le decisioni dei genitori, prese di comune accordo, siano poi esercitate in maniera difforme, è possibile rivolgersi al tribunale secondo quanto dispone l’art. 316 (viste le regole previste in caso di contrasti nell’esercizio della responsabilità genitoriale.)

Per quanto riguarda invece l’amministrazione dei beni del minore che riguardano atti di straordinaria amministrazione, la situazione è più complicata.

Per gli atti rilevanti non è possibile l’esercizio disgiunto dei genitori, ma anche le decisioni prese di comune accordo tra i genitori dovranno rispettare altri requisiti; infatti, i genitori solo in presenza di queste due condizioni

  • Necessità o utilità evidente del figlio;
  • Previa autorizzazione concessa dal giudice tutelare.

Possono:

  • Alienare, ipotecare o dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte;
  • Accettare o rinunciare ad eredità o legati, e accettare donazioni;
  • Decidere lo scioglimento di comunioni;
  • Contrarre mutui o locazioni ultra novennali;
  • Compiere altri atti eccedenti la ordinaria amministrazione;
  • Promuovere, transigere o compromettere in arbitri giudizi relativi a tali atti,

I genitori che si occupano dell’amministrazione dei beni del minore, possono svolgere quindi, senza autorizzazione del Giudice tutelare, solo atti di ordinaria amministrazione.

Alcuni atti sono addirittura vietati ai genitori del minore:

  • Acquistare direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore, neanche all’asta pubblica;
  • Diventare cessionari di alcuna ragione o credito verso il minore.

Eredità ai figli adottivi: come funziona

eredità ai figli adottivi

Quali sono le norme sulla eredità ai figli adottivi ovvero Sulla successione non esiste differenza tra figli naturali, legittimi e adottati

L’eredità ai figli adottivi è una questione un po’ spinosa. Il buon senso, infatti, suggerisce che non debbano mai esserci differenze tra i figli, che questi siano nati dentro o fuori dal matrimonio, oppure adottati; purtroppo però non è sempre stato così.

Per esempio quando muore un genitore senza lasciate un testamento, come funziona la successione dei suoi beni ai figli?

In particolare l’eredità ai figli adottivi è la stessa che va ai figli naturali e legittimi?

Le quote legittime

Iniziamo a capire come funziona la successione mettendo subito in chiaro cosa stabilisce la legge italiana a tal proposito; questa impone infatti delle regole molto rigide, anche nel caso in cui il defunto lasci un testamento nel quale esprime le sue volontà, per la distribuzione del suo patrimonio.

Con o senza testamento sono designati dalla legge degli eredi legittimi, ai quali spetta una quota dell’eredità, la cui somma va a formare la parte indisponibile.

Questi eredi legittimi sono il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli e così via in base alla presenza o meno dei primi.

Il defunto può quindi disporre tramite il testamento solo della pare disponibile, che si ottiene scorporando quella legittima.

Le quote in favore dei figli si calcolano in base al numero di figli e in base alla presenza o meno del coniuge; facciamo degli esempi pratici:

  • Se non c’è il coniuge e c’è un solo figlio a lui spetta l’intera eredità;
  • Se non c’è il coniuge e ci sono più figli l’eredità deve essere divisa in parti uguali tra di loro;
  • Se ci sono il coniuge e un figlio, al primo spetta ½ e l’altro ½ al figlio;
  • Se ci sono il coniuge e due o più figli al primo spetta 1/3 e i restanti 2/3 vanno divisi tra i figli egualmente.

L’eredità ai figli adottivi rientra tra le quote legittime?

La filiazione è stata riformata non molto tempo fa, perché il codice civile, in passato, nel disciplinare la successione distingueva i figli legittimi, cioè nati all’interno del matrimonio, e quelli naturali, nati cioè al di fuori del matrimonio.

Il decreto legislativo 154 del 2013 ha abolito in modo definitivo ogni genere di distinzione tra i figli: ora la legge ora parla solo di “figlio” tout court.

Con la legge del 10 dicembre 2012 n. 219 il legislatore aveva già aveva eliminato le differenze che c’erano tra figli nati dentro e fuori il matrimonio: infatti, era stato già introdotto il principio della piena uguaglianza tra questi, anche per quel che riguarda l’eredità ai figli adottivi.

L’eredità ai figli adottivi va calcolata così come si fa per gli altri, perché con l’adozione vera e propria la famiglia adottiva diventa l’unica del minore, che perde qualsiasi diritto su quella biologica, anche quello successorio.

Donazione a un minore: come farla

donazione a un minore

In che modo si redige l’atto e con quale modalità si può effettuare una donazione ad un minore e come può la si può accettare  

La donazione a un minore rientra nella legislazione della donazione in genere. La donazione è l’atto attraverso il quale un soggetto può donare beni o diritti a un altro, andandogli ad attribuire un diritto proprio del patrimonio, senza ricevere in cambio un corrispettivo.

Può anche avvenire la donazione a un minore, l’importante è che sia a titolo gratuito e che non implichi necessariamente l’arricchimento, elemento essenziale del contratto.

Diverse tipologie di donazione

E’ possibile effettuare una donazione a un minore senza nessuna condizione, oppure subordinarla al compimento di un atto: ad esempio al soddisfacimento di un’obbligazione a carico del donatario, quindi “vincolata”; al mancato rispetto, infatti, della condizione non avverrebbe il passaggio di beni o diritti.

Chi dona può anche decidere di farlo solo dopo la sua morte, applicando un diritto di usufrutto; quindi la donazione non avverrebbe finché il donante è in vita.

Come si fa

Per redigere l’atto di donazione a un minore è necessario presentarsi davanti a un notaio, e con la sua assistenza anche studiare tutti i dettagli, e le eventuali ripercussioni che potrebbe provocare l’atto; può capitare, infatti, che tramite la donazione si vadano ad intaccare le quote legittime dell’eredità, che non sono disponibili.

Per mandare a buon fine l’atto di donazione è necessario:

  • Che il donante sia in grado di intendere e di volere;
  • Non includere un corrispettivo (facendo così cadere il concetto stesso di donazione).
  • Che il minore accetti i beni, e può farlo solo tramite chi li amministra.

La donazione a un minore diventa effettiva solo se c’è l’autorizzazione da parte dei genitori, che a loro volta possono concederla solo se sussiste una necessità o utilità evidente del minore, e previa autorizzazione del Giudice tutelare.

Il minore, infatti, secondo il nostro ordinamento è incapace di agire, ma non è privo della capacità giuridica; per questo ha bisogno di essere rappresentato per il compimento di alcune attività giuridiche, come sancisce l’articolo 320 del Codice civile: “i genitori congiuntamente, o quello che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, rappresentano i figli nati e nascituri, fino alla maggiore età o all’emancipazione, in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni.”

Accettare una donazione rientra tra gli atti di straordinaria amministrazione, per i quali è necessaria l’autorizzazione del Giudice tutelare e del Tribunale.

Casi particolari

Dopo la donazione è possibile che si verifichino dei casi particolari che la rendono non valida:

  • Successiva rinuncia da parte del donatario;
  • Nascita di figli del donante entro un certo periodo di tempo;
  • Azioni specifiche del donatario (ingratitudine oppure eventuali ingiurie nei confronti della donante);
  • Donazione non è effettuata tramite un atto pubblico.

Nel caso in cui vengano donati dei beni mobili è necessario che venga specificato il nome e il valore (a meno che questo non sia così modico da non rendere necessario indicarlo).

 

Al figlio minore spetta il TFR del genitore deceduto?

Al figlio minore spetta il TFR del genitore deceduto

A chi spetta il TFR e in che modo il figlio minorenne può ottenere la sua quota

Cos’è il TFR

Il trattamento di fine rapporto (TFR) è la somma che viene corrisposta al lavoratore dipendente, al termine del rapporto di lavoro, qualunque sia la causa che provochi la cessazione del rapporto stesso; questa è una retribuzione differita nel tempo, che matura ogni anno in relazione al lavoro prestato e all’ammontare della retribuzione percepita dal lavoratore.

Per quanto concerne il mantenimento dei figli, il TFR rientra tra le somme a loro dovute, in caso di morte di un genitore lavoratore.

Queste somme maturate a titolo di indennità di fine rapporto o fine servizio, rientrano, infatti, tra i diritti propri dei superstiti individuati dalla legge; se la morte avviene invece dopo il collocamento a riposo, queste si trasmettono agli eredi secondo le regole dettate dalla legge sulla successione.

Ma come rientra il TFR nel mantenimento dei figli?

Per capire bene come funziona è necessario partire dal Codice civile, che all’articolo 2122 dispone che:

  • Il TFR va corrisposto al coniuge e ai figli, se vivevano a carico del prestatore del lavoratore defunto, ai parenti entro il terzo grado e ai suoi affini entro il secondo grado (primo comma);
  • In mancanza dei questi soggetti (e, secondo la sentenza 19 gennaio1972 n. 8 della Corte Costituzionale, e in mancanza di testamento che disponga del TFR), l’indennità di fine rapporto va attribuita in base alle norme della successione legittima (terzo comma).

Il TFR come mantenimento dei figli minori

Il TFR non appartiene al patrimonio ereditario, ma è indipendente dalle normali regole in materia di accettazione dell’eredità: questa indennità viene assegnata automaticamente ai parenti superstiti, che secondo la legge devono accordarsi tra di loro per la ripartizione del TFR versato dal datore di lavoro del defunto.

Ma cosa accade se il parente in questione, al quale spetta il TFR o una sua quota, è un figlio minorenne?

La legge prevede che un minorenne non possa disporre in modo autonomo dei diritti a lui riconosciuti; se presente, l’altro genitore dovrà, presentarsi in qualità di unico genitore esercente la podestà sul figlio, davanti al Giudice Tutelate e presso il Tribunale del comune di sua residenza, per chiedere di poter riscuotere la quota del TFR destinato al figlio minore.

Il genitore (o chi ne fa le veci in sua assenza), dovrà riempire dei moduli preposti, nei quali indicare i dati, allegare a questo un certificato di morte dell’altro genitore, e indicare la composizione del nucleo familiare, inserendo anche una dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio che attesta il fatto che una quota del TFR maturato spetta al figlio minorenne, da rilasciare al datore di lavoro del genitore defunto.

In questo modo l’indennità entrerà a far parte di quelle quote che vanno a formare il mantenimento dei figli minori dopo la morte di un genitore lavoratore.