Quali sono i contratti di convivenza

contratti di convivenza

Contratti di convivenza, cosa sono e come si stipulano

I contratti di convivenza sono accordi bilaterali con cui la coppia decide di definire le regole del proprio vivere insieme, regolamentando i rapporti patrimoniali ed in parte alcuni aspetti dei rapporti personali. L’accordo può essere utile per stabilire le conseguenze patrimoniali al momento dell’eventuale cessazione della convivenza.

I contratti di convivenza possono essere stipulati da tutti coloro che decidono di vivere insieme stabilmente spinti da un vincolo affettivo (c.d. convivenza more uxorio) e che decidono di vivere insieme al di fuori del matrimonio o perché questa possibilità è a loro preclusa (il caso delle coppie omosessuali) o perché non vogliono sottoporsi al vincolo matrimoniale.

Anche la famiglia “non tradizionale” può tutelarsi stipulando un contratto di convivenza.

Uno dei casi tipici nel quale si fa ricorso al contratto di convivenza è quello di persone che convivono essendo però state già sposate e separate, ed in attesa di sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Il contratto di convivenza può essere redatto dal notaio o in forma di scrittura privata, con o senza la consulenza di un avvocato, in qualunque momento: all’inizio della convivenza o quando sorge l’esigenza di regolamentarne lo svolgimento (ad esempio in occasione dell’acquisto di una casa).

Cosa regolamenta il contratto di convivenza

Aspetti patrimoniali che possono essere disciplinati dai contratti di convivenza:

  • modalità di partecipazione alle spese comuni
  • Obblighi di contribuzione reciproca nelle spese comuni
  • Principi di attribuzione della proprietà dei beni acquistati durante la convivenza (arrivando a definire regimi simili a quelli di comunione o separazione);
  • Le regole d’uso della casa adibita a residenza principale
  • La definizione dei rapporti patrimoniali in caso di eventuale cessazione del rapporto di convivenza
  • La possibilità di assistenza reciproca, in tutti i casi di malattia fisica o mentale e qualora sia compromessa la capacità di intendere e di volere di uno dei due partner

Non possono invece essere regolamentate dai contratti le disposizioni riguardanti i rapporti di successione, i quali possono essere cambiati solo inserendo apposite clausole a favore del partner nel testamento (quando si dispone dei proprio beni)

Validità e recesso

Dal contratto di convivenza nascono obblighi giuridici a carico delle parti che lo hanno sottoscritto, che comportano la possibilità per entrambe i partners di rivalersi se l’altro non ottempera le disposizioni che ha accettato. La durata dei contratti di convivenza coincide con la durata stessa del rapporto.

Alcuni accordi contenuti nel contratto, però, sono proprio destinati a produrre i loro effetti quando il rapporto di convivenza cessa: ad esempio tutti quelli che fissano le modalità per la definizione dei rapporti patrimoniali reciproci in caso di cessazione della convivenza. In qual caso il contratto continua ad avere effetto per disciplinare la fase in oggetto, mentre cessa di produrre effetti per quanto che riguarda tutto il resto.

Le parti possono comunque riservarsi la facoltà di recesso mediante specifici accordi inseriti nel contratto: il recesso può essere totalmente libero, gratuito o subordinato al pagamento di una multa o penale.

 

Protezioni contro abusi familiari: gli ordini e l’allontanamento del convivente

Protezioni contro abusi familiari

Gli strumenti che la legge mette a disposizione per proteggere le vittime degli abusi in famiglia

Quando il comportamento di uno dei coniugi o di uno dei due conviventi mette a rischio l’integrità fisica e morale dell’altro, o diventa pregiudizievole per la sua libertà, la parte lesa ha a disposizione una serie di strumenti di protezione.

L’autore della condotta violenta può essere, oltre al coniuge, anche il genitore verso i figli e i figli verso i genitori.

  1. Abusi familiari: quando si viene tutelati

Le protezioni contro abusi familiari consistono in un insieme di disposizioni introdotte dal legislatore per tutelare il soggetto che subisce violenza in famiglia. Le condizioni su cui questi provvedimenti si basano sono la convivenza e una condotta che provochi un grave pregiudizio per l’integrità fisica.

La convivenza è condizione necessaria perché le protezioni contro abusi familiari vengano messe in atto: la loro funzione infatti non è soltanto quella di interrompere situazioni di convivenza caratterizzata da violenze, ma soprattutto di impedire la continuazione di comportamenti violenti nell’ambiente casalingo.
E’ ammissibile la domanda per ottenere la misura di protezione anche nel caso in cui la convivenza sia cessata, nel caso in cui vi sia stato allontanamento a causa del timore di subire violenze fisiche.

La condotta che fa scattare le protezioni contro abusi familiari deve essere caratterizzata da comportamenti frequenti e ripetuti, accompagnati da azioni ravvicinate nel tempo, diretti consapevolmente a ledere il coniuge o convivente.
Il presupposto per ottenere tutela non è rappresentato dalla condotta del convivente violento di per sé, ma dall’esistenza di un pericolo grave per l’integrità fisica, morale o per la libertà personale patito dal familiare convivente vittima.

  1. Il procedimento contro gli abusi familiari

Le protezioni contro abusi familiari vengono attivate ricorrendo al Tribunale del luogo in cui si ha residenza o domicilio.

A seguito della presentazione del ricorso, il Giudice ascolta le parti, dispone le eventuali indagini e provvede emettendo un decreto immediatamente esecutivo.
In caso di urgenza, il Giudice può anche emettere il decreto anche sulla base di informazioni sommarie e fissare successivamente l’udienza in cui devono essere presenti le parti. Solo al termine dell’udienza c’è la conferma, la modifica o la revoca dell’ordine di protezione.

  1. Le protezioni contro abusi familiari

I provvedimenti adottati possono consistere:

-nell’ordine di cessazione della condotta giudicata violenta o pregiudizievole
-nell’allontanamento dalla casa comune del familiare responsabile della violenza.
-nel divieto di frequentare o avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima della violenza

-nella predisposizione dell’intervento dei servizi sociali o di altre istituzioni allo scopo di fornire sostegno alla vittima della violenza

-nell’imposizione del pagamento periodico di una cifra a favore dei familiari vittime della violenza nel caso in cui siano rimasti privi dei mezzi per vivere adeguatamente.

  1. Allontanamento del familiare violento

Nel caso in cui il soggetto violento venga colto in flagranza di reati gravi come lesioni, minaccia aggravata e violenze, oltre all’arresto obbligatorio, la Polizia giudiziaria può applicare la misura ‘precautelare’ dell’allontanamento d’urgenza dalla casa comune e del divieto di avvicinarsi ai luoghi che la persona offesa frequenta abitualmente.
Altrimenti, per ottenere l’allontanamento, è sempre necessario rivolgersi al Tribunale civile o sporgere una denuncia per reato.

Stalking: cosa fare quando il convivente è stalker

stalking

Tutele previste dalla legge nel caso di condotte persecutorie da parte del convivente

Stalking: che cos’è

Stalking è un termine inglese usato per indicare tutta una serie di comportamenti e atteggiamenti di stampo persecutorio da parte di un individuo ai danni di un altro, che creano stati di ansia e paura costante tali da impedire lo svolgimento normale della vita quotidiana.

Il termine stalking configura anche un reato, individuato recentemente proprio per punire l’atteggiamento persecutorio ed ossessionante di una persona ai danni di un’altra. Sono state introdotte alcune aggravanti a tutela delle donne, tipicamente le più interessate da questo genere di reato.

L’aggravante scatta quando

  • Il fatto è consumato ai danni del coniuge (anche se divorziato o separato) e del partner, convivente o meno
  • Vengono commessi maltrattamenti (violenze o atti persecutori) su donne incinte
  • La violenza è commessa in presenza di minori di 18 anni

La tutela viene quindi accordata, in questo caso alla donna, indipendentemente dalla presenza o meno di legame matrimoniale: alla base del reato e dell’aggravante c’è la relazione affettiva, che si configura con o senza convivenza.

Lo stalker: chi è

Lo stalker è colui che in modo deliberato e continuativo pone in essere atteggiamenti persecutori, invadenti e violenti ai danni del/della partner, con mezzi come telefonate, messaggi, lettere, pedinamenti, visite ossessive a casa o sul posto di lavoro.

Il comportamento di stalking è caratterizzato da tre elementi principali:

  • Lo stalker agisce nei confronti di una persona legata a lui da un rapporto affettivo o da una relazione che può essere reale o immaginata
  • La condotta dello stalker si basa su contatti e comunicazioni caratterizzati da intrusività, insistenza e ripetizione
  • La vittima dello stalker finisce per vivere in uno stato continuo di allerta, emergenza e stress psicologico

Affinché possa configurarsi il reato di stalking, è necessario che lo stalker dimostri di mettere in atto volontariamente i comportamenti persecutori e di comprenderli. La condotta deve essere reiterata nel tempo e comportare nella vittima uno stato di ansia generalizzata.

Come procedere contro il convivente stalker

Il reato di stalking deve essere denunciato della persona offesa, che ha sei mesi di tempo a disposizione per la querela dopo l’ultimo della serie di atti che costituiscono la querela. Esiste anche la possibilità che l’autorità giudiziaria si attivi d’ufficio, in alcuni casi specifici:

  • Reato commesso ai danni di un minorenne o di un disabile
  • Il soggetto in questione sia già stato ammonito in precedenza per le stesse condotte

La pena viene aggravata nel caso in cui:

  • Il fatto è commesso dal coniuge, anche se separato o divorziato
  • Il fatto è commesso dal convivente o da persona comunque legata in presente o in passato da relazione affettiva alla vittima
  • Il fatto è commesso con l’uso strumenti informatici
  • Il reato è commesso ai danni di minore, disabile o donna incinta
  • Il reato è commesso con armi o da una persona che si è resa irriconoscibile

Diritti dei successori del convivente

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Diritti del partner alla morte del convivente: la successione nella famiglia di fatto

Con l’espressione “convivenza more uxorio” viene indicata la convivenza stabile fra due persone, basata su motivi affettivi ma non suggellata dal matrimonio: al momento questa forma alternativa di famiglia, chiamata anche “famiglia di fatto” è in ascesa sia fra le coppie eterosessuali che fra quelle omosessuali (a cui non è permesso –in Italia- unirsi in matrimonio). Nonostante l’aumento delle famiglie di fatto, non esiste una vera e propria legislazione in materia.

Le lacune della giurisprudenza si fanno notare in particolare in occasione di momenti particolari della vita di coppia: l’acquisto di una casa, la separazione, la nascita di eventuali figli, la malattia o la morte.

Nel caso di morte di uno dei due partner, i diritti dei successori del convivente non sono gli stessi di un/una vedova/o.

Leggi di successione nella famiglia di fatto

I diritti successori del convivente sono limitati dall’assenza dello status di coniuge e quindi dalla tutela che da questo proviene. Il convivente rimasto in vita potrà ottenere una quota di eredità solo se specificatamente previsto dal testamento del defunto e sempre a patto che il lascito non vada a ledere la porzione che per legge spetta a determinati soggetti (ad esempio i figli).

I conviventi non hanno dunque diritti successori l’uno nei confronti l’uno dell’altro perché per la legge non sono vincolati da legami di parentela e sono da considerare estranei fra di loro. Tuttavia, al momento della stesura del testamento, ognuno dei due conviventi può nominare erede l’altro, nel rispetto dei diritti dei legittimi successori (eventuale coniuge o figli). E’ vietato invece redigere contratti con cui ci si impegna a nominare l’altro convivente come erede: la legge vieta i patti successori, che sono considerati nulli.

Diritti dei successori del convivente in caso di incidente o sinistro

In caso di morte del convivente conseguente ad un incidente stradale o sinistro di altro tipo per colpa di terzi, la legge riconosce anche al convivente more uxorio il risarcimento del danno da fatto illecito, sia esso morale o materiale. Per ottenere il risarcimento del danno materiale, il convivente deve dimostrare lo stabile contributo economico che il convivente deceduto apportava in vita e l’esistenza di una relazione stabile e caratterizzata dalla reciproca assistenza.

La casa comune: i diritti del convivente superstite

I diritti dei successori del convivente superstite sulla casa comune sono limitati dall’impossibilità per i conviventi, quando tutti e due in vita, di assicurarsi l’un l’altro l’uso futuro della casa comune nell’eventualità della morte di uno dei due (si tratterebbe di un patto successorio, vietato dalla legge).

E’ stato comunque stabilito da una sentenza della Cassazione il diritto del convivente more uxorio a continuare ad abitare nell’immobile considerato casa comune: questo è avvenuto con la pronuncia di illegittimità costituzionale di una parte dell’art. 6, comma 1 della Legge sull’equo canone (392/1978) dove non veniva previsto fra gli eredi della titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del titolare, il convivente more uxorio.

Conclusioni

L’unico modo per assicurare i diritti dei successori del convivente, e quindi permettere al convivente rimasto in vita d godere di beni mobili ed immobili come desiderato dal convivente defunto, è prevedere tutto questo in modo dettagliato nel testamento, tenendo sempre presente che la parte di eredità di cui il convivente può beneficiare è quella cosiddetta “disponibile”, ossia al netto delle quote che spettano di legge a parenti legittimi come coniugi o figli.

Convivenza more uxorio: diritti e doveri del convivente more uxorio

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Nella famiglia di fatto diritti e doveri sono diversi rispetto a quella tradizionale

La convivenza more uxorio, chiamata anche famiglia di fatto, indica due persone che decidono di condividere stabilmente la vita per motivi affettivi, ma senza essere legati dal vincolo matrimoniale.

L’assenza del patto matrimoniale segna, di fatto, la profonda differenza fra i diritti e i doveri dei coniugi e quelli dei conviventi more uxorio. Il fatto che non esista contratto di matrimonio svincola i conviventi da obblighi reciproci di natura personale (come la fedeltà reciproca) e patrimoniale (collaborazione materiale), ma di conseguenza anche dai diritti come la successione o gli alimenti.

Diritti e doveri nella convivenza more uxorio

Come detto, la convivenza more uxorio non viene riconosciuta come famiglia tradizionale dalla legge e non esiste una specifica giurisprudenza a riguardo.  Essenzialmente i diritti e i doveri fra conviventi sono quindi legati esclusivamente alla loro volontà e non a obblighi giuridici.

Per quanto riguarda gli acquisti effettuati durante la convivenza, ad esempio, entrano nel patrimonio di colui che li ha effettuati, ma i due patrimoni dei conviventi restano separati. Così, nel momento in cui la convivenza more uxorio dovesse interrompersi, nessuna legge impone all’ex convivente di provvedere all’altro, anche se questo resta sprovvisto di mezzi economici.
Infine, in mancanza di clausole testamentarie in favore del convivente, questo non può vantare alcun diritto sul patrimonio ereditario dell’altro convivente. Inoltre, anche quando previsto dal testamento, deve comunque fare i conti con i legittimi eredi (eventuali coniugi e figli) e con i loro diritti di successione.

Convivenza more uxorio e obbligazioni naturali

Se di diritti e doveri quindi si può parlare, nella convivenza more uxorio, questi derivano dall’inquadramento costituzionale che viene dato alla famiglia di fatto, con riferimento all’art.2 quando si parla di “doveri di solidarietà ed assistenza reciproca, caratterizzati da una dimensione morale, soprattutto nella loro fase dinamica, non ripetibili e non coercibile secondo la disciplina delle obbligazioni naturali”.

Eventuali somme che vengono prestate per l’assistenza materiale fra conviventi (ad es. le spese per la vita quotidiana in coppia), costituiscono un adempimento del tutto spontaneo non di obblighi, ma di doveri riconducibili solo all’etica e alla morale.

Queste prestazioni economiche, più precisamente, costituiscono l’adempimento di “obbligazioni naturali”, obbligazioni il cui unico effetto è la “soluti retentio”, ossia l’impossibilità di riavere indietro quanto si è pagato spontaneamente.

Contratti di convivenza

Per disciplinare la convivenza more uxorio è comunque possibile stilare dei contratti di convivenza rivolgendosi ad un notaio.

Tramite questi contratti è possibile regolamentare:

  • La partecipazione dei partner alle spese comuni
  • In caso di fine della convivenza, l’assegnazione dei beni acquistati quando la relazione era in essere
  • Quale uso debba essere fatto della casa residenziale comune
  • I rapporti patrimoniali reciproci in caso di interruzione della convivenza
  • Designazione di uno dei partner come amministratore di sostegno, in caso di impossibilità dell’altro partner malattia fisica o psichica
  • Decisioni sul mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli naturali (fermo restando che la tutela e la cura dei figli è obbligatoria per entrambi i genitori e che qualsiasi clausola o accordo possono essere cambiati o revocati in base al loro interesse primario)

Una volta redatto e sottoscritto, il contratto di convivenza sancisce obblighi giuridici come qualunque altro contratto e laddove i termini non venissero rispettati il partner che si ritiene parte lesa è autorizzato a rivolgersi al giudice.

 

 

 

Famiglia di fatto: cosa dice la legge italiana

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Come è regolamentata in Italia la convivenza more uxorio

La famiglia di fatto (indicata anche dal termine convivenza more uxorio) si differenzia da quella tradizionale, che è caratterizzata dal vincolo matrimoniale, perché costituita da persone che sono legate fra loro solo dalla volontà di stare insieme volontariamente, stabilmente e per motivi affettivi.

La famiglia di fatto non gode delle stesse tutele da parte della legge accordate a quella tradizionale, ma viene ricompresa nelle “formazioni sociali” indicate dall’art. 2 della Costituzione.

La famiglia di fatto, per essere considerata tale, deve presentare alcune caratteristiche:

  • Mancanza dell’atto di matrimonio: i conviventi non vogliono o non possono sposarsi
  • La coppia coabita sotto lo stesso tetto, individuato come “casa familiare”, pur non essendo sposata. La coabitazione deve essere “qualificata” cioè finalizzata a realizzare una comunanza di vita sia materiale che spirituale, sulla base di quella matrimoniale
  • Il riconoscimento sociale: non sono comprese le convivenze segrete o di durata ancora così breve da non essere riconosciute dall’ambiente sociale
  • La convivenza deve essere stabile e realizzare una comunanza sentimentale e materiale

Tra i conviventi di fatto dunque non esistono diritti e doveri reciproci: la convivenza è basata su un’unione libera che può essere interrotta in qualunque momento.

Rilevanza giuridica della famiglia di fatto

La legge italiana non prevede tutele specifiche per le famiglie di fatto, quindi ci sono molti aspetti che vengono regolamentati usando strumenti di regolamentazione dei rapporti tra privati.

Tra essi:

  • L’accesso alla procreazione assistita è possibile anche per le coppie conviventi
  • In un processo penale il convivente può astenersi dal testimoniare contro il partner
  • Un convivente può essere l’amministratore di sostegno dell’altro
  • Il convivente ha il diritto di subentrare nel contratto di locazione intestato al partner, in caso di morte di quest’ultimo;
  • I conviventi possono esercitare le azioni volte a accertare il suo diritto a possedere la casa dove si svolge la convivenza;
  • In caso di morte per incidente o per dolo del convivente, il partner ha diritto al risarcimento del danno;
  • Si applica anche al convivente violento, non solo al coniuge, il reato di stalking
  • Anche la famiglia di fatto può usufruire dei vantaggi dello “stato sociale”, ad esempio per le assegnazioni di case popolari
  • Un minorenne disponibile temporaneamente per l’affidamento perché privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato anche ad una famiglia di fatto

Rapporti patrimoniali nelle famiglie di fatto

La legge italiana, pur non riconoscendo ai conviventi la stessa tutela della famiglia legittima, identifica comunque il valore sociale della famiglia di fatto: per questa ragione quando vengono operate elargizioni di denaro da un convivente all’altro nell’ambito della vita di coppia, queste devono essere intese come adempimento di obbligazioni naturali (si parla di obbligazioni naturali quando le prestazioni sono dovute all’esecuzione di un dovere morale).

L’obbligazione naturale fa in modo che venga esclusa la ripetizione, ossia la possibilità per il convivente che ha dato di chiedere la cifra indietro. Questo a meno che la prestazione economica non sia sproporzionata rispetto all’esigenza da soddisfare, non sia stata eseguita spontaneamente o sia stata effettuata da una persona incapace di intendere e volere.

Interruzione della convivenza more uxorio

La famiglia di fatto può sciogliersi di comune accordo o per la morte di uno dei due conviventi: nel primo caso, quando il rapporto si interrompe non esistono obblighi né morali né materiali fra gli ex conviventi. Quando il convivente muore per cause naturali, il convivente superstite non può avanzare pretese sull’asse ereditario, almeno che non sia stato previsto in precedenza nel testamento. Se il convivente muore per colpa di terzi (incidente, omicidio), il convivente ha invece diritto all’eventuale risarcimento.

Assegno di mantenimento fra conviventi

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L’assegno di mantenimento: quando è dovuto e quando può decadere

Assegno di mantenimento fra conviventi

La convivenza more uxorio, che si identifica in due persone che decidono di vivere insieme per motivi affettivi ma fuori dal vincolo del matrimonio, è di fatto svincolata da obblighi e diritti propri del patto matrimoniale, fra cui anche quello dell’assegno di mantenimento per il coniuge indigente.

L’assegno di mantenimento fra conviventi è una specifica dell’assegno di mantenimento: quest’ultimo è infatti un provvedimento economico che viene previsto dal giudice in sede di separazione tra i coniugi e obbliga al versamento di una somma di denaro, suscettibile di cambiamenti nel tempo, al coniuge economicamente debole o agli eventuali figli nati dal matrimonio.

In caso di coppie non sposate, questo diritto del coniuge più debole decade: resta in piedi solo il mantenimento per i figli nati dalla relazione, che è distinto dalla relazione che lega i loro genitori.

L’unico modo in cui fra due conviventi può instaurarsi l’obbligo di un assegno di mantenimento alla fine della relazione è la sottoscrizione precedente di un contratto di convivenza, di fronte ad un notaio, che lo preveda: a quel punto il convivente a cui ne è stato accordato il diritto ha facoltà di rivolgersi ad un giudice per pretenderlo.

Decadimento dell’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento fra conviventi stabilito dal giudice in favore del coniuge più debole in fase di separazione, come detto, può essere in seguito suscettibile di modifiche. Il motivo principale è che le condizioni economiche del coniuge che beneficia dell’assegno sono cambiate.

Ad essere messa in discussione infatti è l’adeguatezza dei mezzi del coniuge in questione: se i suoi mezzi sono inadeguati a mantenere il tenore di vita che, si presuppone, avrebbe mantenuto continuando la relazione coniugale, l’assegno gli spetta di diritto.

Ma se improvvisamente la condizione del coniuge debole cambia e i mezzi diventano “adeguati”, può cambiare anche la sostanza dell’assegno di mantenimento, che può anche decadere.

Assegno di mantenimento e nuova convivenza

Anche una nuova relazione stabile, sancita da una convivenza more uxorio, può far decadere un assegno di mantenimento: secondo alcune sentenze della Cassazione (n. 18959/2013, 2709/2009, 24056/2006), la costituzione di una famiglia di fatto, ancor più se accompagnata dalla nascita di figli, giustifica la revisione (o addirittura il decadimento) dell’assegno di mantenimento. Questo avviene però solo se questa convivenza ha carattere di continuità tale da far presumere che il beneficiario dell’assegno tragga da questa convivenza vantaggi monetari o almeno risparmi di spesa.

Questo frangente non è però automatico: non sempre in presenza di una nuova convivenza post separazione l’assegno di mantenimento decade. Se il coniuge “debole” resta tale, se la sua situazione economica non cambia e se continua a non lavorare o a lavorare in modo saltuario, non ottenendo quindi vantaggi di sorta dalla nuova unione sentimentale, il suo diritto all’assegno di mantenimento resta inalienato.

Conviventi a carico

convienti a carico

Il caso dei conviventi a carico, ovvero quando il convivente può considerarsi a carico

Detrazioni fiscali per conviventi a carico

Esistono delle facilitazioni fiscali, più precisamente delle detrazioni, che il Fisco accorda ai contribuenti che abbiano dei familiari conviventi a carico.

Il familiare si intende a carico quando il reddito è inferiore ai 2.840,51 euro.

Nella cifra di 2.840,51 euro devono rientrare anche: retribuzioni corrisposte da Enti e Organismi Internazionali, dalla Santa Sede, da Missioni, da Rappresentanze diplomatiche e consolari; redditi di lavoro dipendente prestato nelle zone di frontiera ed in altri Paesi limitrofi; reddito d’impresa o di lavoro autonomo tassato secondo il regime fiscale di vantaggio per giovani imprenditori, lavoratori in mobilità o per nuove attività produttive; il reddito dei fabbricati.

Chi sono i conviventi a carico

Sono considerati conviventi a carico del contribuente il coniuge (che non sia legalmente ed effettivamente separato), i figli anche adottivi od affidati, gli altri familiari (suoceri, generi, nuore, genitori, fratelli e sorelle), ma solo a condizione che siano effettivamente conviventi con il contribuente.

Non è invece indispensabile che marito e moglie siano conviventi per essere l’uno a carico dell’altro: anche con residenze diverse, l’importante è che non siano legalmente separati. Stesso discorso per i figli, considerati a carico fino al raggiungimento della quota di reddito, anche se non sono conviventi e hanno superato i 18 anni di età.

Come detto, gli altri familiari devono invece necessariamente condividere la stessa casa per essere considerati conviventi a carico

Convivente more uxorio e detrazioni fiscali

Il convivente more uxorio non viene considerato come uno dei conviventi a carico qualunque sia il suo reddito: di fronte al fisco è a tutti gli effetti un estraneo in quanto non legato da nessun vincolo di parentela.

L’art. 433 c.c. e l’art. 5 del Testo unico definiscono infatti come familiari il coniuge, parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado: in questo elenco non sono quindi compresi i conviventi.

Il convivente more uxorio non è mai considerabile come uno devi conviventi a carico, neanche per quanto riguarda il percepimento di eventuali assegni familiari

Esiste anche una sentenza della Corte di Cassazione sezione Tributaria (5 novembre 2008 n. 26543) che ha disposto, in merito all’eventuale beneficio della detrazione Irpef sulle ristrutturazioni edilizie, l’equiparazione della posizione del convivente more uxorio a quella del coniuge convivente, in caso di rapporto di convivenza sia riconducibile ad una data precedente all’esecuzione dei lavori.

A questa sentenza non ha comunque fatto seguito nessun pronunciamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, quindi lo stato dell’arte è ancora al momento immutato.

Il convivente more uxorio può rientrare nelle detrazioni fiscali collegate alla casa condivisa soltanto stipulando con il proprietario un contratto di comodato a titolo gratuito. Così facendo diventa titolare di un diritto di godimento e può usufruire di detrazioni fiscali altrimenti riservate soltanto al proprietario.

In presenza di figli nella famiglia di fatto (non sancita quindi da matrimonio), il genitore che non è convivente e non è neanche coniugato con l’altro genitore, ma ha riconosciuto il figlio, fa parte del nucleo familiare del figlio (che quindi potrà considerarlo convivente a carico laddove avesse possibilità di ottenere detrazioni fiscali)

 

L’attribuzione patrimoniale in favore del convivente omosessuale

conviventi omosessuali

La convivenza more uxorio permette di usufruire di vantaggi propri del matrimonio

Attribuzioni patrimoniali fra conviventi etero ed omosessuali

I conviventi omosessuali possono essere inquadrati nel campo più ampio della convivenza more uxorio, ossia quella che viene anche definita la “famiglia di fatto”: si instaura quando due persone decidono di vivere insieme al di fuori del vincolo matrimoniale ma condividendo doveri e obblighi come una coppia sposata.

Le coppie omosessuali non possono contrarre legalmente matrimonio e quindi danno vita a nuclei familiari atipici e ancora non precisamente tutelati dalla legge: per ora le tutele accordate alle coppie omosessuali sono le stesse riconosciute a una coppia di eterosessuali che decide di convivere more uxorio.

Quando si parla di attribuzioni patrimoniali, si intende l’arricchimento della sfera patrimoniale di un soggetto attraverso l’acquisto di un diritto o l’esonero da un obbligo a scapito di un altro soggetto. Quando questo avviene fra due persone conviventi, siano esse etero o omosessuali, le regole cambiano rispetto a quando si verifica nel matrimonio.

Regole per la restituzione delle somme prestate al convivente omosessuale

La convivenza more uxorio viene considerata inquadrabile nel più generale principio costituzionale che tutela le libere associazioni di persone (art. 2 Cost.): per questo assumono importanza i doveri morali e materiali che i conviventi detengono l’uno nei confronti dell’altro; tra questi figura l’esclusione della ripetizione di eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate durante la convivenza.

Anche tra due conviventi omosessuali, dunque, vige un generale divieto di chiedere la ripetizione di obbligazioni naturali adempiute dal convivente richiedente, dove per obbligazioni naturali si intende le obbligazioni che trovano la propria fonte nei doveri morali e sociali.

In questo senso la famiglia di fatto viene avvicinata alla famiglia tradizionale: anche nel vincolo matrimoniale, infatti, non è possibile richiedere la restituzione delle somme elargite da un coniuge all’altro, fermo restando che si tratti di somme utilizzate per la vita familiare, che facciano parte dei doveri morali e di assistenza reciproci che l’art. 143 c.c. impone al rapporto fra marito e moglie.

Questo principio non è comunque generale: quando si parla di convivenza more uxorio, quindi anche fra coppie omosessuali, ad essere esenti dall’obbligo di restituzione sono solo i versamenti effettuati per far fronte alle esigenze di vita quotidiana, in qualunque forma e con qualunque cadenza siano stati elargiti (mensilmente, una tantum ecc.)

Se al termine di una convivenza uno dei due conviventi decide di chiedere indietro una somma prestata o regalata all’altro partner, deve essere avviata un’indagine per stabilire di quale tipo di attribuzione si tratti. Questa indagine spetta al giudice del merito, che valuta sulla base degli elementi probatori che gli vengono presentati. L’onere di produrre le prove è chiaramente a carico del convivente che chiede la restituzione della somma: è lui che dovrà dimostrare gli elementi costitutivi della domanda, quindi l’avvenuta consegna della somma ma anche a che titolo questa stessa somma era stata elargita.

I rapporti personali e patrimoniali fra conviventi

rapporti patrimoniali tra conviventi more uxorio

Differenze fra la famiglia tradizionale e la famiglia di fatto

  1. La famiglia di fatto

Convivenza more uxorio è il termine giuridico con il quale si indica la cosiddetta famiglia di fatto, una tipologia di formazione sociale che, seppur non prevista dalla Costituzione, che considera come famiglia solo quella basata sul matrimonio (art.29), ha acquisito importanza negli anni in seguito ai cambiamenti sociali e del costume.

La convivenza more uxorio, per essere considerata nel nostro ordinamento, deve caratterizzarsi per stabilità, durata e solidarietà reciproca tra i due conviventi.

  1. Rapporti personali nella famiglia more uxorio

La famiglia di fatto si basa quindi sull’affectio coniugalis, ossia sulla comunanza di vita e di interessi e sulla reciproca assistenza morale e materiale dei conviventi, i quali devono comportarsi come marito e moglie anche se non legati da nessun vincolo formale.

I legami di natura personale fra conviventi infatti sono basati esclusivamente all’accordo spontaneo e reciproco, per cui la loro cessazione avviene senza bisogno di intervento dell’autorità giudiziaria.

  1. Contratti di convivenza

Il Consiglio Nazionale del Notariato ha istituito appositi contratti di convivenza, dove sono regolati i rapporti patrimoniali tra conviventi more uxorio, anche in caso di cessazione del rapporto (per questioni riguardanti l’abitazione, il mantenimento, la proprietà, il testamento ed altro).

Alcuni comuni hanno invece predisposto un registro delle convivenze, mentre negli anni diverse parti sociali e politiche che hanno proposto l’introduzione di istituti giuridici come il PACS, Patto Civile di Solidarietà, o i DICO, Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi.

La stessa giurisprudenza è intervenuta per disciplinare i rapporti patrimoniali tra conviventi more uxorio, ad esempio, considerando efficace il contratto di costituzione di usufrutto di immobile gratuito stipulato tra due conviventi, basandosi sul presupposto che esso trova fondamento nella convivenza stessa, oppure affermando che l’estromissione violenta dalla casa comune, compiuta dal convivente proprietario a danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo ad usufruire della tutela possessoria, e ad avvalersi dell’azione di spoglio.

  1. Mantenimento e alimenti nella famiglia more uxorio

I rapporti patrimoniali tra conviventi more uxorio sono da considerarsi diversi da quelli che intercorrono nella famiglia tradizionale: sia la giurisprudenza che la dottrina sono concordi nel non riconoscere a carico e a favore dei conviventi obblighi di contribuzione, almeno che tra i conviventi non siano stati stipulati accordi particolari.

Questi accordi, per essere efficaci, devono risultare da un atto scritto in forma di scrittura privata o da atto pubblico stipulato da un notaio e possono contenere la disciplina dei rapporti patrimoniali tra conviventi more uxorio, ossia la costituzione di un fondo comune per le spese da effettuare nell’interesse della famiglia, il versamento di una somma di denaro a favore di un convivente in caso di cessazione della convivenza, e l’assegnazione dell’abitazione familiare.

  1. Prestiti e versamenti fra conviventi more uxorio

Un aspetto più complicato dei rapporti patrimoniali tra conviventi more uxorio è rappresentato dai reciproci versamenti di denaro avvenuti durante o dopo la convivenza, laddove si presentino poi richieste reciproche di restituzione di somme spese a favore dell’altro.

Nell’ambito della famiglia tradizionale non è applicabile la regola della restituzione delle somme spese a favore dell’altro coniuge (soprattutto se si tratta di somme usate per la vita quotidiana) dal momento che questo viene considerato un dovere morale e di assistenza basato sul legame tra coniugi.

Anche nella convivenza more uxorio si è giunti a considerare aiuti, versamenti e collaborazione economica e finanziaria tra i conviventi come obbligazioni naturali (ex art. 2034 c.c.) e che quindi non devono essere restituite alla fine della relazione.