Riconoscimento del figlio naturale post mortem

riconoscimento del figlio naturale post mortem

Con quale modalità è possibile fare il riconoscimento del figlio naturale post mortem

La riforma della filiazione è avvenuta di recente con la legge n.219 del 2012, che ha provveduto ad equiparare lo stato giuridico di tutti i figli, anche quelli adottivi e incestuosi.

Il decreto legislativo 154/2013 ha successivamente eliminato definitivamente le differenze tra figli naturali (nati al di fuori del matrimonio) e figli legittimi (nati all’interno di un matrimonio).

La legge parla oggi di figli tout court, lasciando solo delle differenze per quanto riguarda delle procedure; queste cambiano, ad esempio per quel che riguarda il riconoscimento: nel caso del figlio legittimo si parla di “presunzione di paternità”, che si basa sul fatto che il marito della madre di un bambino è considerato dalla legge il presunto padre; questo dovrà quindi solo confermare la presunzione.

Riconoscimento del figlio naturale post mortem

In questo caso non ci troviamo all’interno di un matrimonio e quindi non vi è alcuna “presunzione di paternità”, quindi è possibile procedere con il riconoscimento immediato oppure con il riconoscimento del figlio naturale post mortem.

Per trasformare l’atto di procreazione in un atto di filiazione, rilevante per i diritto, è necessario fare una dichiarazione, un atto solenne e irrevocabile, che deve essere alternativamente formalizzato:

  • Nell’atto di nascita;
  • In una dichiarazione davanti all’Ufficiale dello stato civile;
  • In un atto pubblico (sono quelli redatti davanti ad un pubblico ufficiale, ad esempio un notaio);
  • In un testamento (riconoscimento del figlio naturale post mortem);
  • In una domanda presentata al Giudice Tutelare.

Chi può fare il riconoscimento

Per poter riconoscere il figlio naturale era necessario aver compiuto sedici anni, ma il limite di età dei genitori è stato ora abbassato ai quattordici anni; fino al raggiungimento dell’età necessaria da parte del genitore il bambino non può essere dichiarato in stato di adottabilità, a condizione che sia però assistito dall’altro genitore naturale o dai parenti.

Se uno dei due genitori ha già effettuato il riconoscimento, l’altro può farlo solo con il suo consenso; questo può essere rifiutato, e in questo caso l’aspirante genitore naturale può rivolgersi a un Tribunale, che valuterà se concedere o meno l’autorizzazione, che non può essere negata se corrisponde all’interesse del figlio.

Nel caso in cui il figlio da riconoscere abbia già 16 anni è necessario il suo consenso per procedere.

Riconoscimento figlio naturale post mortem

E’ anche possibile effettuare il riconoscimento del figlio naturale post mortem, che avviene tramite il testamento; in questo caso il figlio riconosciuto diventerà titolare di tutti i suoi diritti solo dopo la morte del testatore, entrando così a far parte degli eredi legittimi, insieme all’eventuale coniuge, e gli altri eventuali figli.

Avrà diritto così alla sua quota legittima, così come potrà assumere il cognome del padre naturale.

L’eredità del figlio non riconosciuto

eredità del figlio non riconosciuto

Con la legittimazione passiva si può fare il riconoscimento del genitore dopo la morte e parlare di eredità del figlio non riconosciuto

Per quanto riguarda l’eredità la legge italiana impone delle regole molto rigide.

Una parte di eredità, anche in presenza di un testamento, è infatti riservata a quelli che vengono definiti gli eredi legittimi del defunto, a cui spetta quindi una quota legittima; questi sono i parenti più stretti: il coniuge, i figli e in alcuni casi anche i genitori.

Qui ci occuperemo della quota riservata ai figli e in particolare dell’eredità del figlio non riconosciuto.

Vediamo prima come vengono ripartite le quote ai figli riconosciuti regolarmente:

Legittima a favore dei figli senza coniuge:

  • Un solo figlio: 1/2 del patrimonio ereditario;
  • Due figli o più: 2/3 del patrimonio ereditario (da dividere in parti uguali fra loro).

Legittima dei figli con il coniuge

  • 1/3, con un solo figlio e 1/3 al coniuge;
  • 1/2 del patrimonio ereditario, se ci sono più figli, da ripartirsi equamente, e ¼ al coniuge.

Il riconoscimento

Prima di parlare di eredità del figlio non riconosciuto è bene capire cos’è il riconoscimento: l’atto attraverso il quale si trasforma l’atto di procreazione in un atto di filiazione rilevante per il diritto; attraverso il riconoscimento il figlio diventa titolare di diritti, e il padre si assume tutte le sue responsabilità nei suoi confronti; è possibile riconoscere i figli nati all’interno del matrimonio (attraverso la presunzione di paternità) e quelli nati al di fuori; prima della riforma del 2012 si definivano figli legittimi i primi, e naturali i secondi.

Grazie al decreto Legislativo 154/2013 è oggi possibile anche riconoscere i figli “incestuosi”, nati da genitori tra i quali esiste un rapporto di parentela o di affinità, mentre in passato era impossibile per quelli in malafede (che erano a conoscenza della parentela prima del concepimento).

Tutti i figli sono stati equiparati a livello giuridico, e quindi entrano di diritto a far parte degli eredi legittimi in caso di morte di uno dei genitori.

Eredità al figlio non riconosciuto

Non spetta nessuna quota dell’eredità al figlio non riconosciuto.

Il figlio non riconosciuto non ha, infatti, alcun diritto successorio, ma può disporre dell’azione giudiziale ai sensi dell’articolo 276 del Codice civile, per ottenere il riconoscimento anche dopo la morte del presunto genitore.

Legittimazione passiva

In questo caso, in assenza del genitore, l’azione va proposta nei confronti degli eredi del defunto (vedova e figli se presenti) e in mancanza di questi è possibile agire nei confronti di un curatore nominato dal giudice.

L’azione è utile al fine di riconoscere una parte di eredità al figlio non riconosciuto in vita dal defunto, che però risulta esserlo effettivamente; non importa quanti anni siano passati perché l’azione della legittimazione passiva non ha prescrizione, e la domanda può essere contraddetta da chiunque ne abbia interesse.

Se la sentenza è favorevole al figlio, questo rientra nella sfera degli eredi legittimi, perché produce gli stessi effetti del riconoscimento effettuato dal genitore e, in base alla legge 219/2012 s’instaura il rapporto di parentela tra figlio riconosciuto e parenti (fratelli, sorelle, genitori) e il proprio genitore.

La madre può negare il riconoscimento del figlio al padre biologico?

negazione del figlio al padre biologico

Cosa fare per evitare questo tipo di problema e come intervenire in caso di opposizione

Con il termine “figlio naturale” s’intende il figlio nato al di fuori del matrimonio.

Sia la madre che il padre possono compiere il riconoscimento del figlio, sia in modo separato che congiunto, e anche se sposati con un’altra persona.

In materia di filiazione c’è stata una vera e propria riforma, che risale al 2012 con la legge n.219, che ha provveduto ad equiparare lo stato giuridico dei figli legittimi (nati all’interno del matrimonio) e di quelli naturali; l’anno successivo, il decreto legislativo 154 ha poi eliminato definitivamente ogni discriminazione anche tra figli incestuosi e figli adottivi; oggi la legge parla di figli tout court.

Il riconoscimento

Tramite il riconoscimento del figlio naturale un soggetto dichiara di essere genitore biologico, trasformando così l’atto di procreazione in uno stato di filiazione, rilevante per il diritto.

La procedura del riconoscimento richiede la compilazione di una dichiarazione, ed è considerato un atto solenne e irrevocabile, che deve essere alternativamente formalizzato:

  • Nell’atto di nascita;
  • In una dichiarazione davanti all’Ufficiale dello stato civile;
  • In un atto pubblico (sono quelli redatti davanti ad un pubblico ufficiale, ad esempio un notaio);
  • In un testamento (qualsiasi sia la forma);
  • In una domanda presentata al Giudice Tutelare.

L’atto non può più, quindi, essere revocato per nessuna ragione, tranne che in casi particolari previsti per il disconoscimento.

Se la madre si oppone al riconoscimento

Ma cosa succede se la madre si oppone al riconoscimento da parte del padre biologico?

Partiamo dal presupposto secondo il quale, se un genitore naturale ha già effettuato il riconoscimento, l’altro deve ottenere il suo consenso per farlo.

Se la madre si oppone al riconoscimento presso l’anagrafe, il padre biologico deve presentare un ricorso al Tribunale dei minori competente, ricorrendo a un procedimento giudiziale.

Il Tribunale, in questo caso, avrà il compito di verificare l’effettivo rapporto di parentela del genitore naturale con il minore, così che il genitore richiedente possa poi entrare regolarmente in possesso di tutti i suoi diritti e dei doveri verso il figlio riconosciuto.

Anche se la madre si oppone al riconoscimento, infatti, non è possibile negare il consenso a questo, se risponde agli interessi del minore, a differenza di quanto accadeva nella normativa precedente; in questo caso, come abbiamo visto è possibile rivolgersi al Giudice.

Per evitare il sorgere del problema, il primo passo che deve fare il padre biologico, è quello di inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno per diffidare la madre dall’opporsi, entro una certa data, al riconoscimento: così tutto potrà svolgersi regolarmente e senza bisogno di ricorrere alle vie legali

Adottare il figlio del convivente: si può?

adottare il figlio del convivente

Adottare il figlio del convivente non è consentito dalla legge, ma una sentenza della Corte di Firenze dice il contrario

L’adozione è l’atto attraverso il quale una coppia accoglie un minorenne (in alcuni casi anche un maggiorenne) per donargli una famiglia, nel caso in cui a questo manchi il sostegno di quella d’origine. La questione qui, è capire se è possibile adottare il figlio del convivente.

In generale, i requisiti per poter fare la domanda di adozione nel nostro paese sono molto rigidi, infatti i presupposti sono i seguenti:

  • Il minore deve essere dichiarato in stato di abbandono, ovvero privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti entro il quarto grado;
  • Il tribunale per i minorenni deve emettere la dichiarazione di adottabilità, che attesta che il minore si trova in stato di abbandono;

Gli adottanti devono rispondere a dei requisiti:

  • Devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni o tra convivenza e matrimonio devono raggiungere questo traguardo; tra loro non deve aver avuto luogo negli ultimi tre anni la separazione personale, neppure di fatto;
  • La loro età deve superare di almeno 18 e di non più di 45 anni l’età dell’adottato (in taluni casi è consentita una deroga);
  • Devono essere giudicati idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare.

Adottare il figlio del convivente è possibile?

Abbiamo visto che la legge concede la possibilità di adottare solo alle coppie unite in matrimonio; ma è possibile adottare il figlio del convivente, quindi senza essere sposato con l’altro genitore?

L’articolo 44 della legge 144 del 1983 prevede la possibilità, per il coniuge, di adottare il figlio del coniuge, senza esprimersi sulla convivenza.

Per questo possiamo solo far riferimento ad una pronuncia della Corte d’Appello di Firenze (sezione minorenni) del 2013, che ha esteso questa possibilità, permettendo di adottare il figlio del convivente.

Più volte i Giudici hanno respinto richieste di adozioni da parte di soggetti adatti in tutto, ma non uniti in matrimonio, un vincolo che oggi sembra essere sempre più un’utopia, considerando la percentuale sempre in crescita di separazioni e divorzi.

La pronuncia della Corte d’Appello di Firenze si basa, infatti, sul presupposto che l’interesse del minore può essere tranquillamente garantito a prescindere dall’esistenza o meno di un vincolo giuridico tra i genitori, estendendo così la possibilità ad adottare il figlio del convivente.

È, infatti, fondamentale tutelare è l’interesse e l’inserimento del minore in un contesto idoneo al suo sviluppo, e questo non può essere certamente collegato ad una scelta personale e relativa alla sfera personale di due soggetti, di unirsi o meno in matrimonio.

Secondo la Corte d’Appello di Firenze non è giusto pregiudicare i diritti inviolabili garantiti al minore dalla Carta Costituzionale: questo il principio sul quale si è basata la sentenza, innovativa e rivoluzionaria.

I genitori di figli adottati divorziano: cosa cambia

genitori di figli adottati divorziano

Nonostante una possibile richiesta di revoca nulla cambia per i bambini adottati

Adottare un bambino nel nostro paese non è assolutamente cosa facile: l’iter è infatti molto lungo e prevede un’indagine psicosociale per la coppia, che deve essere giudicata in grado di educare, istruire e mantenere il minore.

Possono adottare le coppie che sono sposate da almeno tre anni, o che tra convivenza e matrimonio raggiungono questo traguardo; tra gli adottanti e il bambino devono esserci almeno 18 anni di differenza e non più di 45 per uno dei due e 55 per l’altro.

Ma cosa succede quando una coppia si separa e poi divorzia, dopo essere riuscita ad adottare un bambino?

Qual è il destino per i bambini adottati?

Nulla cambia per i figli adottati in caso di divorzio dei genitori, rispetto a quelli che sono nati in modo “naturale”.

L’unica segnalazione che è importante fare è quella che riguarda l’accettazione da parte della Corte di Cassazione di una richiesta arrivata da parte di un genitore separato: quella della revoca del decreto che aveva disposto l’adozione del figlio; anche dopo questo caso specifico, la revoca comunque non viene assolutamente disposta d’ufficio, ma deve essere sempre richiesta da uno dei due genitori, su iniziativa di un Pubblico Ministero o degli assistenti sociali che hanno il compito di monitorare l’andamento dei rapporti tra genitori e figli adottati.

Quindi devono presentarsi dei presupposti particolari per far sì che la richiesta venga accettata e poi valutata.

In caso di separazione e di divorzio della coppia, per l’affidamento di tutti i figli, si segue un percorso che prevede due soluzioni diverse: l’affidamento condiviso o l’affidamento esclusivo.

Affidamento condiviso

La legge n.54 del 2006 ha disposto come principio fondamentale questo tipo di affidamento, che garantisce il diritto, anche per i figli adottati, alla bi-genitorialità, cioè a mantenere con entrambi i genitori un rapporto stabile ed equilibrato.

In questo caso, infatti, i figli, anche se vivono stabilmente da uno dei due, passano dei periodi presso l’altro, (non si parla di diritto di visita) e tutti e due i genitori partecipano alle decisioni, importanti o meno, che li riguardano.

Affidamento esclusivo

In casi particolari, nei quali non è possibile procedere con l’affidamento congiunto per l’interesse dei figli, si preferisce quello esclusivo per tutelare i figli adottivi e non.

Questa situazione prevede che siano stabilite delle regole molto rigide per le visite del genitore non affidatario, che comunque partecipa alle decisioni importanti e ha il diritto, e il dovere di vigilare sull’istruzione e l’educazione dei figli, che sono sotto la responsabilità genitoriale esclusiva dell’altro.

Nel caso in cui venissero ravvisate delle situazioni particolari il genitore non affidatario può richiedere l’intervento del Giudice.

Cosa succede ai figli adottati quando la coppia si separa

Cosa succede ai figli adottati quando la coppia si separa

Tranne che in casi particolari valgono le stesse disposizioni per tutti i figli, adottati e non

La separazione della coppia porta sempre molto scompiglio all’interno della famiglia, soprattutto provoca sofferenza per i figli che devono affrontare un cambiamento radicale nelle loro abitudini di vita.

Il periodo della separazione è un momento molto delicato perché determina il verificarsi o meno del successivo divorzio; la legge italiana, infatti, prevede questo tempo per dar modo alla coppia di riflettere e capire se è possibile una riconciliazione; i tempi previsti si sono ultimamente ridotti con l’entrata in vigore della legge sul divorzio breve.

Cosa succede ai figli adottati?

Partiamo dal presupposto che tutti i figli godono degli stessi diritti e vengono trattati nello stesso modo in caso di separazione dei genitori, che siano figli adottivi o meno.

In questo caso, infatti, non è l’adozione a fare la differenza; i problemi che la famiglia dovrà affrontare sono gli stessi che affrontano le famiglie che hanno avuto dei figli in modo “naturale”; il legame di sangue, così come la provenienza culturale del bambino adottato, non importa, come invece il legame che ha stabilito con i genitori o con uno di essi, che influisce in modo determinante.

L’unica differenza la troviamo in un caso specifico: la Corte di Cassazione ha accolto, infatti, la domanda promossa da un coniuge separato di revocare il decreto che aveva disposto l’adozione del figlio; dobbiamo sottolineare però che la revoca non viene disposta d’ufficio, ma deve essere sempre richiesta da uno dei due genitori, oppure su iniziativa di un Pubblico Ministero, o degli assistenti sociali che devono monitorare l’andamento dei rapporti tra genitori adottanti e adottati.

Nella normalità, in caso di separazione della coppia, il figlio adottato si troverà a dover essere affidato in modo congiunto a entrambi i genitori, o in modo esclusivo a uno dei due.

Vediamo le differenze tra i due tipi di affidamento.

Affidamento condiviso

La regola fondamentale dell’affidamento condiviso è stata disposta dalla legge n.54 del 2006, e il presupposto è quello dell’assenza di “conflittualità insanabili” tra genitori, che quindi permette la presenza di armonia.

In questo tipo di affidamento i figli hanno il diritto di conservare un rapporto equilibrato con entrambi i genitori; infatti, anche se il Giudice decide dove deve vivere stabilmente la prole, tutti e due le parti partecipano alle decisioni che la riguardano, e non si parla più di “diritto di visita”, ma presenza presso l’uno e l’altro genitore.

Affidamento esclusivo
In caso di separazione della coppia, anche per i figli adottivi è possibile disporre questo tipo di affidamento, ma solo in situazioni particolari.

Questo prevede che il genitore cui sono affidati i figli eserciti in via esclusiva la responsabilità genitoriale, salvo diverse disposizioni, anche se le decisioni di maggior interesse sono generalmente prese di comune accordo.

Il genitore non affidatario deve vigilare sull’istruzione e l’educazione della prole e può ricorrere anche al Giudice quando lo ritiene opportuno.

Come fare il riconoscimento del figlio naturale

riconoscimento del figlio naturale

La procedura attraverso la quale è possibile fare il riconoscimento del figlio naturale, nato fuori dal matrimonio

Sia la madre che il padre possono compiere il riconoscimento del figlio naturale, in modo separato o congiunto, anche se sposati con un’altra persona; con naturale s’intende, infatti, il figlio nato al di fuori del matrimonio.

La filiazione è stata riformata recentemente, con la legge n.219 del 2012, che ha equiparato lo stato giuridico dei figli legittimi e naturali (nati all’interno del matrimonio e non); l’anno successivo, il decreto legislativo 154 ha eliminato definitivamente tutte le discriminazioni.

Le novità sul riconoscimento del figlio naturale

Con il riconoscimento del figlio naturale si dichiara essere genitore biologico, ed è così possibile trasformare l’atto di procreazione in uno stato di filiazione, rilevante per il diritto.

La procedura richiede la compilazione di una dichiarazione, un atto solenne e irrevocabile, che deve essere alternativamente formalizzato:

  • Nell’atto di nascita;
  • In una dichiarazione davanti all’Ufficiale dello stato civile;
  • In un atto pubblico (sono quelli redatti davanti ad un pubblico ufficiale, ad esempio un notaio);
  • In un testamento (qualsiasi sia la forma);
  • In una domanda presentata al Giudice Tutelare.

L’atto si definisce irrevocabile perché non può più essere revocato per nessuna ragione, tranne che in casi particolari previsti per il disconoscimento.

Ricordiamo, inoltre, che è possibile fare il riconoscimento del figlio naturale tramite testamento, e in questi casi sarà valido solo dopo la morte del testatore.

Inoltre il D.lg. 154/2013 ha stabilito che riconoscere i figli incestuosi (cioè nati da genitori tra i quali esiste un rapporto di parentela o di affinità) è possibile, solo avendo ottenuto però, l’autorizzazione da parte del Giudice, che ha il compito di tutelare l’interesse del figlio ed evitare qualsiasi pregiudizio.

Considerate che in passato il riconoscimento addirittura non era concesso ai genitori “in mala fede”, che erano cioè consapevoli del loro rapporto di parentela al momento del concepimento.

Chi può fare il riconoscimento?

Il riconoscimento del figlio naturale può essere avviato dopo aver compiuto i sedici anni di età, ma recentemente il limite di età dei genitori è stato abbassato: risulta sufficiente, infatti, il compimento dei quattordici anni; in attesa che il genitore raggiunga l’età prevista, il figlio naturale non può essere dichiarato in stato di adottabilità, a condizione però che il bambino sia assistito dall’altro genitore naturale o dai parenti.

Nel caso in cui uno dei due genitori naturali abbia già effettuato il riconoscimento, l’altro che ha intenzione di farlo deve ottenere il suo consenso; se rifiutato, il genitore interessato può chiamare in causa il Tribunale, che provvederà a valutare se concedere o meno l’autorizzazione al riconoscimento; nella decisione è determinante stabilire l’interesse del figlio.

Nel caso in cui il figlio naturale da riconoscere abbia già 16 anni è necessario il suo consenso per procedere al riconoscimento.

Come fare per riconoscere il figlio naturale nato all’estero

Come fare per riconoscere il figlio naturale nato all'estero

Con quali modalità è possibile effettuare il riconoscimento valido anche in Italia

L’atto di riconoscimento può essere effettuato sia dalla madre che dal padre, da entrambi in maniera congiunta o separatamente, anche se uniti in matrimonio con un’altra persona.

Quando viene riconosciuto un figlio nato al di fuori del matrimonio si parla di figlio naturale, che si distingue da quello legittimo solo per quanto riguarda questa circostanza.

In materia di filiazione c’è stata una vera e propria riforma nel 2012, con la legge n.219, e poi con il decreto legislativo 154 del 2013, che ha eliminato definitivamente ogni differenza a livello giuridico tra figli, così come ogni discriminazione che poteva invece esserci in passato anche tra figli adottivi e incestuosi.

Il riconoscimento 

Anche per quanto riguarda il riconoscimento non sono previste delle differenze; l’unica cosa riguarda la “presunzione di paternità”, che è presente nel caso in cui la coppia di genitori sia sposata, e che quindi modifica il procedimento solo a livello pratico.

Figli naturali e figli legittimi godono degli stessi diritti, anche per quanto riguarda la successione del genitore, del quale sono considerati eredi legittimi; a loro spetta infatti una quota del patrimonio, così come la possibilità di impugnare il testamento qualora sia necessario.

Per il figlio naturale non sussiste questa presunzione e quindi il padre naturale dovrà fare una dichiarazione alternativamente formalizzata:

  • Nell’atto di nascita;
  • In una dichiarazione davanti all’Ufficiale dello stato civile;
  • In un atto pubblico (sono quelli redatti davanti ad un pubblico ufficiale, ad esempio un notaio);
  • In un testamento (qualsiasi sia la forma);
  • In una domanda presentata al Giudice Tutelare.

Il riconoscimento del figlio naturale nato all’estero

Può accadere che il padre si trovi a dover effettuare il riconoscimento del figlio naturale nato all’estero; in questo caso l’atto di nascita del minore deve essere trascritto, riportando l’indicazione dei genitori del bambino.

Il riconoscimento di figlio naturale nato all’estero risulta di norma nell’atto di nascita estero, che deve essere trascritto in Italia; tuttavia l’atto può anche essere contenuto in un altro atto separato, formatosi dopo alla nascita, presso il locale Ufficiale di stato civile o presso un notaio.

Per essere valido in Italia il riconoscimento del figlio naturale nato all’estero deve:

  • Essere effettuato all’estero secondo la normativa locale;
  • Deve rispettare le condizioni previste dal nostro Ordinamento (art. 250 e seguenti Codice civile);
  • Deve essere contenuto in un atto debitamente legalizzato e tradotto in italiano.

Anche il riconoscimento del figlio naturale nato all’estero è irrevocabile, quindi non si può revocare neanche tramite un testamento.

Adozione da parte di coppie di fatto: cose da sapere

Adozione da parte di coppie di fatto

Alla richiesta di adozione da parte di coppie di fatto, la legge del 2015 in materia ha detto no

In Italia la questione che riguarda le adozioni è veramente spinosa e dolorosa soprattutto per quel che riguarda la adozione da parte di coppie di fatto.

Le coppie che infatti non riescono ad avere dei figli in modo “naturale”, e desiderano accogliere un bambino nella loro famiglia si trovano a dover affrontare una vera e propria via Crucis, un percorso denso di ostacoli.

Chi può adottare?

Gli aspiranti genitori devono infatti passare una serie di verifiche perché devono essere giudicati “idonei ad educare, istruire ed in grado di mantenere i minori che intendano adottare”; inoltre devono rispondere a delle caratteristiche:

  • Essere sposati da almeno tre anni o raggiungere questo periodo sommando matrimonio e convivenza;
  • La differenza minima tra adottante e adottato deve essere di 18 anni;
  • La differenza massima tra adottanti e adottato deve essere di 45 anni per uno dei coniugi e 55 per l’altro (tale limite può essere derogato se i coniugi adottano due o più fratelli, e se hanno un figlio minorenne naturale o adottivo.)

Spesso si è parlato di adozioni da parte di coppie di fatto in Italia, creando un dibattito che va avanti da molto tempo, che riguarda anche tutte le altre questioni per le coppie conviventi, non unite in matrimonio.

Partiamo dal capire cosa sono le coppie di fatto.

Le coppie di fatto

Dal 2 dicembre 2013 è possibile sottoscrivere dei contratti di convivenza per le coppie che non intendono unirsi in matrimonio; sono redatti dal notaio al quale la coppia si rivolge per stabilire, in base alle proprie esigenze specifiche, le regole dell’assetto patrimoniale, per le spese, l’assistenza sanitaria, la gestione dei figli, il mantenimento in caso di separazione e così via.

Ma sono possibili le adozioni da parte di coppie di fatto?

Legge sulle adozioni

Nel marzo del 2015 è passata al Senato la legge in materie di adozioni, che permette l’adozione di un minore da parte della famiglia affidataria, nel caso in cui si tratti di un affidamento prolungato, in una situazione nella quale non è possibile per il minore far ritorno nella famiglia d’origine.

Confermato invece il no per le adozioni da parte di coppie di fatto, single e sposati da meno di tre anni (o che tra convivenza e matrimonio non raggiungano questo traguardo.)

Le coppie che si trovano in una di queste situazioni non possono presentare la domanda di adozione, possibilità che era prevista nell’emendamento di Francesca Puglisi del PD, ritirato all’ultimo momento.

La senatrice ha dichiarato che quando il disegno di legge diventerà legge, questo potrà spronare il Tribunale ad accettare la richiesta di adozioni da parte di coppie di fatto, in casi particolari (come disabili, orfani e così via.)