Riconoscimento del matrimonio omosessuale in Italia

Riconoscimento del matrimonio omosessuale in Italia

Il riconoscimento del matrimonio omosessuale in Italia: ecco gli atti da compiere per registrare un matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato non in Italia

Il riconoscimento del matrimonio omosessuale in Italia deve partire necessariamente dal presupposto che una unione gay al pari di ogni altro matrimonio, è una scelta di affetto comune delle persone che si uniscono e scelgono di intraprendere una vita comune ma, allo stesso tempo, è anche una forma di tutela per entrambi perchéé produce diritti e conseguenti doveri giuridico-legali.

Non esistendo il riconoscimento del matrimonio omosessuale in Italia è praticamente impossibile accedere a diversi momenti della vita dell’individuo: in caso ospedalizzazione di un componente della coppia all’altro viene negato il diritto di visita in quanto non legato da vincoli di parentela, se vi è una morte prematura non vi è la possibilità di eredità in favore del compagno superstite.

Parimenti sempre in caso di decesso non può essere trasferita la pensione di reversibilità.

Queste e molte altre difficoltà, insieme al desiderio di creare una vera famiglia spingono sempre più italiani a sposarsi in nazioni in cui è possibile coronare questi legittimi desideri tra cui Spagna, Gran Bretagna e Germania solo per fare alcuni nomi.

Alla data di Ottobre 2015 in Italia non è possibile, per le persone dello stesso sesso, contrarre matrimonio né sono stabilite delle forme di unioni civili che suppliscano a questa mancanza e che riconoscano una forma di tutela della coppia.

Le nozze celebrate all’estero, quando vengono riportate presso il Registro delle Unioni Civili, conservano un riconoscimento sino ad un’eventuale dichiarazione di nullità stabilita esclusivamente dal Tribunale Civile.

È possibile avere il riconoscimento del matrimonio omosessuale in Italia seguendo alcune strategie che si sono rivelate positive.

Ci sono stati due casi due casi di unioni gay a Roma e Napoli che hanno “fatto scuola”, e creato un precedente. Essi rappresentano esattamente il comportamento che dovrebbe assumere un ufficiale di stato civile, nel caso in cui dovesse trovarsi a dover trascrivere un matrimonio gay celebrato in un paese diverso dall’Italia.

La modulistica utilizzata è quella originale del paese nel quale è stato contratta l’unione: si può utilizzare un comune modulo di matrimonio proveniente dall’estero per avere il riconoscimento del matrimonio omosessuale in Italia. L’unica cosa che cambia è l’indicazione utilizzata per riferirsi alle persone interessate che diventerà: “coniuge e coniuge”.

Il problema sorge non nella fase di trascrizione affidata all’ufficiale di stato civile o al sindaco del comune dove si vuole registrare l’atto, ma nel possibile contenzioso che deriva da situazioni che al momento risultano essere al limite della normativa vigente in assenza di una legislazione in materia.

In ultima analisi, quindi, bisogna essere consci che si agisce senza fondamenti normativi concreti, il che può generare atti tesi a dimostrare illegittimità di queste trascrizioni “rivoluzionarie”.

Trascrizione delle unioni gay: la sentenza e i relativi dubbi

Trascrizione delle unioni gay

Come funziona la trascrizione delle unioni gay, ovvero la registrazione nei registri comunali dell’unione di due persone dello stesso sesso

È necessario fare un po’ di chiarezza sul meccanismo che permette la trascrizione delle unioni gay.

Su questo argomento è intervenuto il tribunale amministrativo per tentare di districare una vera e propria matassa legislativa.

Innanzitutto è necessario dire che la cancellazione e l’annullamento di matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati e registrati in un paese non italiano, può essere sancito solo dal Tribunale Civile.

Nello specifico il Tribunale Amministrativo della Regione Lazio, ha recepito positivamente la richiesta di coppie che avevano contratto la loro unione all’estero e avevano visto l’autorità prefettizia annullarle e cancellarle dal registro delle unioni civili della Capitale.

Il prefetto di Roma aveva infatti annullato la trascrizione di alcune unioni causando una frizione con il Sindaco che aveva messo in atto con un gesto repentino una circolare del Ministero dell’Interno.

Per effetto dell’annullamento di tale gesto, la trascrizione delle unioni gay riportate nel registro dello stato civile del Comune di Roma sono da ritenersi valide e definitive.

Almeno fino a quando qualcuno eventualmente chiederà al giudice civile un suo giudizio: la legislazione in merito sullo stato civile stabilisce che può compiere un simile atto esclusivamente il Procuratore della Repubblica.A chiedere l’intervento del Tribunale amministrativo erano state singolarmente alcune delle coppie e lo stesso Comune di Roma

I ricorsi chiedevano l’annullamento di quanto disposto dal Prefetto di Roma circa l’annullamento della trascrizione delle unioni gay.

Quest’ultimo aveva provveduto a vanificare le trascrizioni applicando una circolare del Ministro dell’Interno con la quale lo stesso aveva disposto che i prefetti annullassero le trascrizioni e provvedessero a intimare ai sindaci la cancellazione delle unioni dai registri del comune.

In particolare il Tar del Lazio ha contestato e annullato il provvedimento con il quale il Prefetto di Roma aveva spazzato via le sedici trascrizioni, eseguite dallo stesso sindaco della Capitale sul registro dello stato civile dell’anagrafe di Roma di altrettanti matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero. Il decreto del prefetto seguiva la circolare del ministro dell’Interno che sollecitava prefetti ad invitare i sindaci a “cancellare le trascrizioni “.

Il Tar del Lazio a detta di parecchi movimenti per i diritti civili ha fatto finalmente giustizia sulla trascrizione delle unioni gay: con una pronuncia storica ha stabilito che sono esclusivamente i tribunali a poter decidere sulla trascrizione dei matrimoni tra lo stesso sesso, e non i prefetti come invece avrebbe voluto il Ministro dell’Interno.

Il tribunale amministrativo ha dato ragione a chi ha continuato a sostenere che non è il governo il titolare di questa materia, mentre sono invece i sindaci gli unici ad essere autorizzati per legge a mettere mano su tale materia ad avere la responsabilità degli uffici di stato civile e dell’anagrafe.

Sentenza di divorzio parziale: quando non è definitiva

sentenza di divorzio parziale

La sentenza di divorzio parziale implica che sia possibile emettere una sentenza in attesa di definire poi le questioni controverse

Per chiarire il contesto in cui avviene una sentenza di divorzio parziale è bene partire a monte chiarendo cosa sia giuridicamente il divorzio. Con divorzio, infatti, s’intende l’istituto giuridico che permette lo scioglimento del matrimonio e la conseguente cessazione dei diritti civili che derivano da questo.

Il divorzio non va confuso né con l’annullamento, che rende il matrimonio nullo, come se non fosse stato mai stato contratto, né con la separazione, che invece è una fase che precede il divorzio vero e proprio.

La legge italiana prevede, infatti, un periodo di tempo che deve obbligatoriamente passare dopo la richiesta di separazione, prima di ottenere lo scioglimento del matrimonio (tempi che si sono notevolmente ridotti con la legge sul divorzio breve); questo perché si concede alla coppia separata un’opportunità di riconciliazione.

Se questa non dovesse avvenire si procede verso la sentenza, che può anche essere una sentenza di divorzio parziale.

Vediamo per prima cosa le differenze tra divorzio consensuale e giudiziale.

Divorzio consensuale

Quando i coniugi separati presentano la domanda di divorzio di comune accordo si parla di divorzio consensuale: indicano in modo preciso le condizioni che riguardano la gestione della prole, i rapporti economici, e tutto il resto, e richiedono la cessazione dei diritti civili derivati dal matrimonio; è comunque prevista l’assistenza di un legale.

Divorzio giudiziale

In questo caso non c’è un accordo tra i coniugi, che rivolgendosi a un legale provvedono a presentare il ricorso, completo dell’esposizione dei fatti e degli elementi per i quali si richiede il divorzio; i coniugi vengono ascoltati dal Giudice prima separatamente, poi in modo congiunto, nella speranza di trovare degli accordi; in caso contrario saranno adottati dei provvedimenti urgenti, e sarà aperta una causa civile.

Nella sentenza verranno poi precisate tutte le condizioni dettate dal Giudice.

Sentenza di divorzio parziale

Nel procedimento è possibile che sia emessa una sentenza di divorzio parziale, cioè non definitiva, con la quale si pronuncia lo scioglimento del matrimonio, per poi proseguire la causa in un secondo momento, per regolamentare definitivamente degli aspetti controversi (ad esempio l’affido dei figli, l’importo dell’assegno divorzile e così via.)

La sentenza di divorzio parziale è impugnabile da entrambe le parti, anche dal pubblico ministero, in modo limitato agli interessi dei figli minori e legalmente incapaci.

Una volta che la sentenza di divorzio parziale diventa definitiva sarà annotata in calce all’atto di matrimonio da parte dell’ufficiale dello stato civile; il divorzio può provocare diversi effetti, tra i quali:

  • La moglie perde il cognome del marito;
  • Il Giudice può disporre il versamento di un assegno divorzile da un coniuge all’altro;
  • Viene decisa la destinazione della casa coniugale e degli altri beni;
  • I figli vengono affidati a uno dei coniugi e l’altro ha il dovere di versare loro un assegno di mantenimento.

Divorzio giudiziale per procura

divorzio giudiziale per procura

Cos’è il divorzio giudiziale per procura, ovvero se uno o entrambi i coniugi separati si trovano all’estero e non ci sono degli accordi

Il divorzio giudiziale per procura è uno dei tanti tipi di divorzio esistenti in Italia. Il divorzio viene definito dalla legge italiana come l’istituto giuridico che permette lo scioglimento del matrimonio e la conseguente cessazione dei diritti civili che derivano da questo.

Il divorzio non va confuso con la separazione, che invece segna un periodo di tempo che deve passare prima dello scioglimento definitivo del matrimonio, tempo che si è notevolmente ridotto con l’introduzione della legge sul divorzio breve.

Se i coniugi non si riconciliano si procede con il procedimento di divorzio.

Esistono diversi tipi di divorzio, consensuale e giudiziale e il divorzio giudiziale per procura, che può essere anche consensuale.

Divorzio consensuale

Nel caso in cui i coniugi separati presentano la domanda di divorzio di comune accordo, e sono in accordo sulle diverse questioni che li riguardano (ad esempio la gestione della prole, i rapporti economici, eccetera), si parla di divorzio consensuale.

E’ comunque prevista l’assistenza di un legale per la causa; al termine di questa sarà il Giudice ad emettere la sentenza di divorzio, che sarà così annotato nei registri dello stato civile del comune competente.

Divorzio giudiziale

Quando non c’è un accordo tra i coniugi si parla di divorzio giudiziale; un legale provvede, infatti, a presentare il ricorso, completo dell’esposizione dei fatti e degli elementi per i quali si richiede il divorzio; i coniugi in disaccordo vengono ricevuti dal Giudice prima separatamente, poi in modo congiunto, per cercare di risolvere le controversie trovando degli accordi; in caso questo non accada provvederà ad adottare dei provvedimenti urgenti, e ad aprire poi una causa civile.

Con la sentenza verranno precisate tutte le condizioni dettate dal Giudice per il divorzio.

Divorzio giudiziale per procura

Può accadere che un italiano dopo aver ottenuto la separazione dal coniuge, si trasferisca all’estero, trovandosi così ad affrontare il divorzio giudiziale per procura, cioè lontano dall’ex coniuge e senza la sua collaborazione.

Succede, ad esempio, che il coniuge che si trova all’estero viva una situazione difficile a livello economico, o che abbia problemi di salute che gli impediscono di tornare in Italia.

In questi casi eccezionali è possibile avviare il divorzio giudiziale per procura, che si consiglia di adottare solo come soluzione estrema, se il rientro in Italia non è proprio possibile; infatti, la lontananza e la mancanza di accordi rendono tutto più complicato.

Il Tribunale dovrà autorizzare il coniuge impedito a farsi rappresentare da un procuratore speciale all’udienza del procedimento di divorzio, in applicazione analogica a quanto previsto per il matrimonio per procura.

Le soluzioni consensuali sono naturalmente preferibili a quelle giudiziali, quindi l’obiettivo è quello di trovare degli accordi che permettano di presentare un ricorso congiunto.

Il divorzio giudiziale per procura è possibile anche se entrambi i coniugi si trovano all’estero, e in questo caso va bene rivolgersi a qualsiasi Tribunale della Repubblica; i costi variano a seconda dei casi.

 

Divorzio consensuale per procura

divorzio consensuale per procura

Come si svolge il divorzio consensuale per procura, ovvero se uno o entrambi i coniugi separati si trovano all’estero

Per capire cosa sia il divorzio consensuale per procura è bene partire dalle basi. Si definisce divorzio, infatti, l’istituto giuridico che permette lo scioglimento del matrimonio e la conseguente cessazione dei diritti civili che ne derivano.

Il divorzio non va confuso con l’annullamento, che lo rende nullo, come se non fosse stato mai stato contratto dalla coppia.

La legge in Italia prevede prima la separazione, un periodo di tempo finestra che si è notevolmente ridotto con l’introduzione della legge sul divorzio breve, per dar modo ai coniugi di riflettere e magari riconciliarsi; se questo non accade si procede con il procedimento previsto per arrivare alla sentenza di divorzio.

Esistono diversi tipi di divorzio, consensuale e giudiziale e il divorzio consensuale per procura, così come quello giudiziale.

Andiamo a vedere le differenze.

Divorzio consensuale

In questo caso i coniugi separati presentano la domanda di divorzio di comune accordo, indicando in modo preciso le condizioni che riguardano, ad esempio la gestione della prole, i rapporti economici, eccetera.

La presenza di un legale è comunque prevista per la causa, al termine della quale il Giudice potrà emettere la sentenza di divorzio, ordinando l’annotazione di questo nei registri dello stato civile.

Divorzio giudiziale

In questo caso non c’è un accordo tra i coniugi, e un legale provvede a presentare il ricorso, completo dell’esposizione dei fatti e degli elementi per i quali si richiede il divorzio; i coniugi vengono ricevuti dal Giudice prima separatamente, poi in modo congiunto, per far in modo di trovare degli accordi; in caso contrario saranno adottati dei provvedimenti urgenti, e sarà aperta una causa civile.

Con la sentenza vengono precisate tutte le condizioni dettate dal Giudice per il divorzio.

Divorzio consensuale per procura

Capita molto spesso che un italiano si trasferisca all’estero dopo la separazione, e quindi si trovi ad affrontare il divorzio consensuale per procura, cioè lontano dall’ex coniuge.

Può accadere che nel paese estero nel quale si trova uno dei coniugi, il reddito sia più basso, e quindi per ragioni economiche, ma a volte anche di salute, questo si trovi ad affrontare una situazione difficile, che pregiudica il suo ritorno in Italia.

Si avvia allora il divorzio consensuale per procura, che comunque si consiglia di adottare solo come soluzione estrema, se il rientro in Italia non è proprio possibile.

Il Tribunale, in questi casi eccezionali, può autorizzare il coniuge impedito, a farsi rappresentare da un procuratore speciale all’udienza del procedimento di divorzio, in applicazione analogica a quanto previsto per il matrimonio per procura.

Le soluzioni consensuali sono naturalmente preferibili, quindi trovare degli accordi che permettano di presentare un ricorso congiunto.

Il divorzio consensuale per procura è possibile anche se entrambi i coniugi si trovano all’estero, e in questo caso va bene qualsiasi Tribunale della Repubblica; i costi variano a seconda dei casi.

Come si calcola l’aumento Istat di un assegno di mantenimento

calcolo dell’aggiornamento Istat dell’assegno di mantenimento

L’importo del mantenimento dovuto al coniuge deve essere rivalutato per legge in base agli indici Istat

A seguito della separazione o del divorzio uno dei due coniugi è tenuto a versare all’altro, considerato debole economicamente, un assegno di mantenimento, la cui somma è stabilita dal Giudice che pronuncia la separazione o il divorzio; il valore dell’assegno va rivalutato per legge in base agli indici Istat.

Nel stabilire la somma dovuta da un coniuge all’altro (o ai figli), il Giudice deve tener conto di diversi fattori, come le condizioni a livello sociale e di salute, il reddito e il tenore di vita tenuto durante la convivenza.

Ma come si fa il calcolo dell’aggiornamento Istat dell’assegno di mantenimento?

La rivalutazione Istat

Partiamo spiegando come funziona questo meccanismo di aggiornamento, che va a modificare l’importo dell’assegno indicato dalla sentenza di separazione o di divorzio, volto al mantenimento dell’ex coniuge o dei figli.

Il calcolo dell’aggiornamento Istat dell’assegno di mantenimento è obbligatorio, come sancisce la Legge sul divorzio, che però viene estesa anche alla separazione per analogia.

Ma a cosa serve?

Questa rivalutazione svolge un duplice funzione:

  • Adeguare l’importo che è dovuto al coniuge a un parametro che deve tener conto del costo medio della vita, cioè del prezzo medio di un dato genere di beni, come ad esempio il pane, il latte e così via, cioè quei beni che rappresentano il consumatore medio;
  • Conservare il potere d’acquisto dell’assegno; pensiamo ad esempio al fatto che oggi con un euro si può acquistare un litro di latte, ma magari il prossimo anno serviranno 10 centesimi di più.

Ma cosa rischia chi non provvede al calcolo dell’aggiornamento Istat dell’assegno di mantenimento?

Troppo spesso il coniuge tenuto al versamento non presta la giusta attenzione a questo obbligo, versando solo la somma stabilita in sede di divorzio o separazione.

Questa non osservanza delle regole può causare una richiesta di arretrati e di interessi da parte del coniuge beneficiario, che ha il diritto di rivolgersi a un avvocato per richiedere le somme non versare nei cinque anni precedenti.

Se non vengono versate le somme richieste può, inoltre, richiedere il pagamento delle somme non versate, senza l’intervento del Giudice per stabilire la misura dell’aggiornamento; inoltre il coniuge che beneficia dell’assegno, può agire in giudizio, per farsi riconoscere l’aumento della somma prevista, attraverso un atto di precetto e una procedura espropriativa.

Come abbiamo visto, è quindi consigliabile provvedere al calcolo dell’aggiornamento Istat dell’assegno di mantenimento per tempo, per non rischiare poi di dover versare un importo gravoso in modo inaspettato; l’adeguamento va fatto, infatti, ogni anno, a partire dal mese indicato nel provvedimento di separazione o di divorzio (o di modifica delle condizioni economiche di queste.)

Come richiedere la riduzione di un assegno di mantenimento

riduzione di un assegno di mantenimento

Ecco con quale procedura è possibile chiedere la riduzione di un assegno di mantenimento

Sapere come chiedere la riduzione di un assegno di mantenimento potrebbe essere d’aiuto a molta gente in difficoltà. L’obbligo a versare un assegno di mantenimento è stabilito dalla Legge sul divorzio; la somma e le modalità vengono stabilite dal Giudice che pronuncia la sentenza di separazione o di divorzio; questo deve tenere conto di diversi fattori:

  • Condizioni dei coniugi (abitudini, ambiente sociale, stato di salute ecc.);
  • Ragioni della decisione (quelle che hanno portato al divorzio o alla separazione);
  • Contributo umano ed economico dato da ciascun coniuge;
  • Reddito di entrambi;
  • Tenore di vita tenuto durante la vita matrimoniale;
  • Tutto quello che valutato anche in rapporto alla durata del matrimonio (ad esempio un matrimonio breve potrebbe indurre il Tribunale a non concedere l’assegno).

La somma stabilita può poi subire delle modifiche, oltre a quelle dovute alla rivalutazione Istat che va fatta ogni anno; è possibile, infatti, richiedere anche una riduzione di un assegno di mantenimento in determinati casi.

Questa richiesta può essere giustificata da un peggioramento delle condizioni economiche del coniuge che è obbligato al suo versamento mensile.

Vediamo in base alla casistica la procedura che è necessario seguire per ottenere la riduzione di un assegno di mantenimento.

Peggioramento condizioni economiche

Capita molto spesso che il coniuge obbligato al versamento dell’assegno, si trovi ad un certo punto, in difficoltà economiche tali da non poter provvedere a corrispondere più per intero la somma stabilita; nonostante questo, comunque il soggetto non ha il potere di interrompere il versamento, né di provvedere alla riduzione di un assegno di mantenimento di propria iniziativa.

E’ necessario infatti un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, che concede il permesso solo se ricorrono dei presupposti, grazie ai quali il Giudice può disporre la diminuzione della somma stabilita precedentemente; ad esempio se:

  • Sopravviene lo stato di disoccupazione dell’obbligato;
  • Il beneficiario viene assunto;
  • L’obbligato forma un nuovo nucleo familiare;
  • Avviene una riduzione delle risorse umane dell’obbligato.

La riduzione di un assegno di mantenimento è infatti possibile perché i provvedimenti relativi ai coniugi, tramite la sentenza di separazione, sono basati su circostanze relative al momento in cui sono adottate.

Nel caso in cui si verifichi una delle situazioni prima descritte, il coniuge che versa l’assegno può rivolgersi al Tribunale tramite un ricorso, con il quale chiede la revisione del provvedimento di separazione, allegando la documentazione relativa alla sua situazione; con questa è possibile dimostrare che sono intervenute delle condizioni tali da dover modificare l’importo stabilito in precedenza per il mantenimento.

Presentato il ricordo al Tribunale, il Presidente fissa l’udienza, durante la quale sente i coniugi e provvede all’ammissione dei mezzi istruttori (consulenza tecnica, testimoni, indagini patrimoniali, accertamento della Polizia tributaria e così via), e nel caso in cui vada tutto a buon fine, dispone la riduzione con un decreto motivato.

Calcolare gli arretrati di un assegno di mantenimento

calcolare gli arretrati di un assegno di mantenimento
Per calcolare gli arretrati di un assegno di mantenimento è bene rivalutarne l’importo

Calcolare gli arretrati di un assegno di mantenimento è importante e il suo importo va rivalutato per evitare il pagamento di arretrati e interessi. In caso di separazione o di divorzio la legge stabilisce che uno dei due coniugi (quello più forte economicamente), è tenuto a versare una somma all’altro, volta al suo sostentamento; il Giudice nella sua decisione deve tenere conto di diversi fattori:

  • Condizioni dei coniugi (abitudini, ambiente sociale, stato di salute ecc.);
  • Ragioni della decisione (quelle che hanno portato al divorzio);
  • Contributo umano ed economico dato da ciascun coniuge;
  • Reddito di ciascun coniuge;
  • Tenore di vita durante la vita matrimoniale;
  • Tutto quello che valutato anche in rapporto alla durata del matrimonio (un matrimonio breve potrebbe indurre il Tribunale a non concedere l’assegno).

Questa si concretizza attraverso il versamento di un assegno di mantenimento, solitamente a cadenza mensile (o in via eccezionale in un’unica soluzione), che risente anche dell’adeguamento relativo all’Istat, che va fatto obbligatoriamente per evitare che il beneficiario richieda di calcolare gli arretrati di un assegno di mantenimento.

Andiamo con ordine, spiegando cos’è la rivalutazione Istat.

La rivalutazione

Per l’assegno di mantenimento, che può essere versato a favore dell’ex coniuge o dei figli, è richiesto l’obbligo di adeguamento dalla Legge n. 898 dell’1 dicembre 1970, che prevede le disposizioni solo in caso di divorzio, che poi per analogia la Corte di Cassazione estende anche alla separazione.

La rivalutazione Istat serve a evitare di calcolare gli arretrati di un assegno di mantenimento, perché va ad aumentare la cifra dovuta per adeguarla in base agli indici Istat; serve infatti a svolgere una duplice funzione:

  • Adegua l’importo un parametro che tiene conto del costo medio della vita, (del prezzo medio di un dato genere di beni, come ad esempio il pane, il latte e così via), quelli che rappresentano il consumatore medio;
  • Conserva il potere d’acquisto dell’assegno: pensiamo ad esempio al fatto che l’anno scorso con un euro magari si poteva acquistare un litro di latte, ma oggi servono 10 centesimi di più.

Cosa rischia chi non effettua l’adeguamento

Spesso il coniuge non rispetta quest’obbligo della rivalutazione, rischiando di dover calcolare gli arretrati di un assegno di mantenimento, che può in questo caso essere richiesto dal coniuge che ne beneficia; questo ha diritto, infatti, a rivolgersi a un avvocato per richiedere le somme non versate negli ultimi cinque anni.

Il soggetto obbligato deve provvedere ogni anno alla rivalutazione, a partire dal mese indicato nel provvedimento di separazione o di divorzio (o di modifica delle condizioni economiche di queste.)

La richiesta di calcolare gli arretrati di un assegno di mantenimento, può quindi avvenire tramite un legale senza l’intervento del Giudice, ma se questo non serve a nulla è possibile agire in giudizio, per farsi riconoscere in modo concreto l’aumento della somma prevista, attraverso un atto di precetto e una procedura espropriativa.

E’ quindi bene effettuare nei tempi previsti l’adeguamento dell’assegno, per non rischiare di dover poi affrontare una spesa onerosa e improvvisa per pagare gli arretrati e gli interessi previsti.