Diritti dei successori del convivente

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Diritti del partner alla morte del convivente: la successione nella famiglia di fatto

Con l’espressione “convivenza more uxorio” viene indicata la convivenza stabile fra due persone, basata su motivi affettivi ma non suggellata dal matrimonio: al momento questa forma alternativa di famiglia, chiamata anche “famiglia di fatto” è in ascesa sia fra le coppie eterosessuali che fra quelle omosessuali (a cui non è permesso –in Italia- unirsi in matrimonio). Nonostante l’aumento delle famiglie di fatto, non esiste una vera e propria legislazione in materia.

Le lacune della giurisprudenza si fanno notare in particolare in occasione di momenti particolari della vita di coppia: l’acquisto di una casa, la separazione, la nascita di eventuali figli, la malattia o la morte.

Nel caso di morte di uno dei due partner, i diritti dei successori del convivente non sono gli stessi di un/una vedova/o.

Leggi di successione nella famiglia di fatto

I diritti successori del convivente sono limitati dall’assenza dello status di coniuge e quindi dalla tutela che da questo proviene. Il convivente rimasto in vita potrà ottenere una quota di eredità solo se specificatamente previsto dal testamento del defunto e sempre a patto che il lascito non vada a ledere la porzione che per legge spetta a determinati soggetti (ad esempio i figli).

I conviventi non hanno dunque diritti successori l’uno nei confronti l’uno dell’altro perché per la legge non sono vincolati da legami di parentela e sono da considerare estranei fra di loro. Tuttavia, al momento della stesura del testamento, ognuno dei due conviventi può nominare erede l’altro, nel rispetto dei diritti dei legittimi successori (eventuale coniuge o figli). E’ vietato invece redigere contratti con cui ci si impegna a nominare l’altro convivente come erede: la legge vieta i patti successori, che sono considerati nulli.

Diritti dei successori del convivente in caso di incidente o sinistro

In caso di morte del convivente conseguente ad un incidente stradale o sinistro di altro tipo per colpa di terzi, la legge riconosce anche al convivente more uxorio il risarcimento del danno da fatto illecito, sia esso morale o materiale. Per ottenere il risarcimento del danno materiale, il convivente deve dimostrare lo stabile contributo economico che il convivente deceduto apportava in vita e l’esistenza di una relazione stabile e caratterizzata dalla reciproca assistenza.

La casa comune: i diritti del convivente superstite

I diritti dei successori del convivente superstite sulla casa comune sono limitati dall’impossibilità per i conviventi, quando tutti e due in vita, di assicurarsi l’un l’altro l’uso futuro della casa comune nell’eventualità della morte di uno dei due (si tratterebbe di un patto successorio, vietato dalla legge).

E’ stato comunque stabilito da una sentenza della Cassazione il diritto del convivente more uxorio a continuare ad abitare nell’immobile considerato casa comune: questo è avvenuto con la pronuncia di illegittimità costituzionale di una parte dell’art. 6, comma 1 della Legge sull’equo canone (392/1978) dove non veniva previsto fra gli eredi della titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del titolare, il convivente more uxorio.

Conclusioni

L’unico modo per assicurare i diritti dei successori del convivente, e quindi permettere al convivente rimasto in vita d godere di beni mobili ed immobili come desiderato dal convivente defunto, è prevedere tutto questo in modo dettagliato nel testamento, tenendo sempre presente che la parte di eredità di cui il convivente può beneficiare è quella cosiddetta “disponibile”, ossia al netto delle quote che spettano di legge a parenti legittimi come coniugi o figli.

I documenti per il ricongiungimento familiare

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Documentazione necessaria per ottenere il ricongiungimento familiare

I documenti per il ricongiungimento familiare da presentare sono diversi e riguardano il reddito, l’alloggio e la documentazione attestante il legame familiare.

 I requisiti e la documentazione necessari per poter ottenere l’autorizzazione al ricongiungimento sono

1. Il reddito

– Reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale aumentato della metà dell’importo dell’assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere.

Al fine di dimostrare la disponibilità del reddito si tiene conto, non solo del reddito specifico del richiedente, ma anche di quello prodotto dai familiari conviventi (deve essere sempre opportunamente documentato).

I titolari dello status di rifugiato politico non dovranno dimostrare la sussistenza di questo requisito.

La valutazione sulle risorse economiche sufficienti non può portare ad una applicazione automatica del limite minimo stabilito in base all’importo annuo dell’assegno sociale ma dovrà invece tener conto della natura e solidità dei vincoli familiari, della durata dell’unione matrimoniale, della durata del soggiorno nello Stato membro, dei legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine.

La documentazione attestante il reddito è fondamentale nel pacchetto di documenti per il ricongiungimento familiare.

Tali carte comprovanti il possesso dei requisiti devono essere consegnate al momento della convocazione.

2. L’assicurazione sanitaria per il genitore

Nel caso di richiesta di ricongiungimento di un genitore ultra sessantacinquenne è richiesta un’assicurazione sanitaria.

Al momento della presentazione dell’istanza sarà sufficiente redigere una dichiarazione di impegno a sottoscrivere una polizza assicurativa.

3. L’alloggio

La disponibilità di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità abitativa e conforme ai criteri igienico-sanitari. Tale certificazione è rilasciata dai competenti uffici comunali. La presenza di una abitazione regolare è una conditio sine qua non che deve essere presente nel fascicolo dei documenti per il ricongiungimento familiare.

La dimostrazione del legame familiare è fondamentale nei documenti per il ricongiungimento familiare e deve essere così articolata:

4. Certificazione attestante il rapporto familiare.

Questa può essere presentata direttamente in patria dal familiare con il quale ci si vuole ricongiungere. Tale certificazione va tradotta, legalizzata e validata dall’autorità consolare italiana del Paese di appartenenza e/o di provenienza dello straniero; Accertamenti mirati e precisi fino alla prova del Dna sono disposti nel caso di dubbi rispetto al reale rapporto di parentela.

Quando il richiedente sia titolare dello status di rifugiato, la sola mancanza di documentazione non può comportare il rigetto della domanda. Ai fini della certificazione del vincolo familiare potranno essere tenuti in considerazione elementi attendibili rilevati dalla rappresentanza consolare italiana.

5. Documentazione attestante il rapporto familiare

Certificato di stato famiglia in caso di ricongiungimento in favore del coniuge, al fine di dimostrare che non esiste altro coniuge sul territorio nazionale;

Certificato di matrimonio del genitore in caso di ricongiungimento con quest’ultimo, al fine di verificare l’eventuale presenza del congiunto sul territorio nazionale e l’assenza di un ulteriore vincolo matrimoniale dello stesso;

Separazione per il matrimonio contratto all’estero

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A quale normativa bisogna far riferimento in base alla cittadinanza dei coniugi

Il cittadino italiano che si trova all’estero può sposarsi, quindi contrarre matrimonio sia con un altro cittadino italiano che con un cittadino straniero.

Le condizioni per contrarre il matrimonio e la capacità matrimoniale sono regolate dalla legge nazionale di ciascun sposo: quindi quella italiana del codice civile, per il cittadino italiano e quella richiesta dalla legge nazionale per il cittadino straniero.

Cosa succede se una volta tornati in Italia i coniugi chiedono la separazione per il matrimonio contratto all’estero?

Può anche accadere che due cittadini stranieri si sposino nel loro paese di origine e poi si stabiliscano in Italia, chiedendo la separazione per il matrimonio contratto all’estero.

Matrimonio e separazione tra italiani

I cittadini italiani che si sposano all’estero non sono soggetti alle pubblicazioni di matrimonio, a meno che queste non siano richieste dalla legislazione del paese dove intendono sposarsi.

In alcuni casi l’Autorità estera richiede un “Certificato di capacità matrimoniale” ai sensi della Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980, che è esente da legalizzazione e traduzione.

Il matrimonio che viene celebrato all’estero per avere valore in Italia deve essere sempre trascritto presso il Comune italiano competente; l’ufficio dello Stato civile estero emette l’atto di matrimonio in originale, che gli sposi devo rimettere alla Rappresentanza consolare, che a sua volta lo trasmetterà in Italia per la trascrizione nei registri dello stato civile del Comune competente.

E’ possibile anche presentare l’atto, legalizzato e tradotto, direttamente al Comune italiano di appartenenza.

Una volta trascritta, l’unione è valida e riconosciuta anche in Italia, ed è quindi possibile seguire l’iter previsto dalla giurisdizione italiana anche per la separazione per il matrimonio contratto all’estero.

Separazione coniuge italiano e straniero

Se due soggetti di diversa nazionalità intendono separarsi e divorziare, la normativa a cui fare riferimento è quella della Legge 218/1995, che prevede che la separazione e lo scioglimento del matrimonio siano regolati dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda, quindi quello in cui la vita coniugale si è prevalentemente localizzata.

Separazione coniugi stranieri in Italia

La separazione per il matrimonio contratto all’estero di due stranieri residenti in Italia, è regolato dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda, e qualora la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio, non siano previsti dalla legge straniera applicabile, sono regolati dalla legge italiana.

La separazione e il divorzio, quindi, possono essere richiesti in Italia anche da parte di cittadini stranieri: la Corte di Cassazione ha infatti stabilito, con la sentenza 19994/2004, che anche se nessuno dei due coniugi è italiano e il matrimonio è stato contratto all’estero, il Giudice ha la competenza per decidere sulla separazione se uno dei due coniugi è però residente (anche solo di fatto) in Italia.

Calcolo dell’assegno di mantenimento: come si fa

occultare le condizioni economiche

Degli esempi pratici per capire la somma di denaro da versare al coniuge e ai figli

In caso di separazione tra i coniugi il Giudice può prendere un provvedimento economico, che si configura con l’assegno di mantenimento; questo può anche essere rimesso ad accordi presi liberamente dalla coppia.

L’assegno consiste semplicemente nel versamento di una somma di denaro in favore del coniuge economicamente debole, o degli eventuali figli.

Ma andiamo a vedere come si fa il calcolo dell’assegno di mantenimento, partendo però dall’illustrare quali sono i presupposti per ottenere questo contributo economico.

Dal matrimonio nascono diversi diritti e doveri per i coniugi, tra i quali troviamo l’obbligo di assistenza materiale al coniuge e ai figli; quello verso il coniuge non si estingue con la separazione, e neanche durante il periodo della causa, quando appunto si rende necessario con il versamento di un assegno, purché si verifichino determinate condizioni:

  • Il coniuge richiedente deve fare un’esplicita richiesta del mantenimento nella domanda di separazione;
  • Il coniuge può richiederlo se non gli è stata addebitata la separazione;
  • Il coniuge può richiederlo se non possiede “adeguati redditi propri”;
  • Il coniuge per essere obbligato al versamento deve disporre di mezzi economici idonei.

Il versamento avviene a cadenza mensile solitamente; per il calcolo dell’assegno di mantenimento è necessario prendere in considerazione il destinatario.

Assegno di mantenimento al coniuge

Se uno dei due coniugi dopi la separazione non dispone di mezzi economici adeguati per conservare il precedente tenore di vita, il giudice può obbligare l’altro (solitamente in marito), a corrisponderle un assegno, ma deve tenere conto del suo reddito.

In determinati casi è anche possibile che venga riconosciuto solo il diritto agli alimenti, il versamento di una somma limitata al sostentamento.

Facciamo un esempio per il calcolo dell’assegno di mantenimento:

Una situazione reddituale media: (operaio/impiegato, € 1.200,00 / € 1.600,00 mensili per 13 o 14 mensilità):

– con assegnazione della casa coniugale: assegno pari a circa 1/4 del reddito del coniuge obbligato (da € 300,00 a € 400,00 circa);

– senza assegnazione della casa coniugale: assegno pari a circa 1/3 del reddito del coniuge obbligato (da € 400,00 a € 535,00 circa).

Assegno di mantenimento ai figli

Ogni genitore è obbligato per legge al mantenimento dei figli, quindi deve provvedere a versare del denaro periodicamente.

In questo caso per il calcolo dell’assegno di mantenimento il Giudice deve tenere in considerazione tanti fattori diversi:

  • Esigenze attuali del figlio;
  • Tenore di vita del minore tenuto durante la convivenza con entrambi i genitori;
  • Permanenza presso ciascun genitore;
  • Situazione reddituale dei genitori;
  • Valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti di ciascun genitore.

Facciamo un esempio pratico per il calcolo dell’assegno di mantenimento verso uno o più figli:

Una situazione reddituale media (operaio/impiegato; € 1.200,00 / 1.600,00 mensili per 13 o 14 mensilità):

– un figlio: assegno pari al 25% circa del reddito (€ 300,00 / € 400,00);

– due figli: assegno pari a circa il 40% del reddito (€ 480,00 / € 640,00);

– tre figli: assegno pari al 50% circa del reddito (€ 600,00 / € 800,00).

Adottare il figlio del convivente: si può?

adottare il figlio del convivente

Adottare il figlio del convivente non è consentito dalla legge, ma una sentenza della Corte di Firenze dice il contrario

L’adozione è l’atto attraverso il quale una coppia accoglie un minorenne (in alcuni casi anche un maggiorenne) per donargli una famiglia, nel caso in cui a questo manchi il sostegno di quella d’origine. La questione qui, è capire se è possibile adottare il figlio del convivente.

In generale, i requisiti per poter fare la domanda di adozione nel nostro paese sono molto rigidi, infatti i presupposti sono i seguenti:

  • Il minore deve essere dichiarato in stato di abbandono, ovvero privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti entro il quarto grado;
  • Il tribunale per i minorenni deve emettere la dichiarazione di adottabilità, che attesta che il minore si trova in stato di abbandono;

Gli adottanti devono rispondere a dei requisiti:

  • Devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni o tra convivenza e matrimonio devono raggiungere questo traguardo; tra loro non deve aver avuto luogo negli ultimi tre anni la separazione personale, neppure di fatto;
  • La loro età deve superare di almeno 18 e di non più di 45 anni l’età dell’adottato (in taluni casi è consentita una deroga);
  • Devono essere giudicati idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare.

Adottare il figlio del convivente è possibile?

Abbiamo visto che la legge concede la possibilità di adottare solo alle coppie unite in matrimonio; ma è possibile adottare il figlio del convivente, quindi senza essere sposato con l’altro genitore?

L’articolo 44 della legge 144 del 1983 prevede la possibilità, per il coniuge, di adottare il figlio del coniuge, senza esprimersi sulla convivenza.

Per questo possiamo solo far riferimento ad una pronuncia della Corte d’Appello di Firenze (sezione minorenni) del 2013, che ha esteso questa possibilità, permettendo di adottare il figlio del convivente.

Più volte i Giudici hanno respinto richieste di adozioni da parte di soggetti adatti in tutto, ma non uniti in matrimonio, un vincolo che oggi sembra essere sempre più un’utopia, considerando la percentuale sempre in crescita di separazioni e divorzi.

La pronuncia della Corte d’Appello di Firenze si basa, infatti, sul presupposto che l’interesse del minore può essere tranquillamente garantito a prescindere dall’esistenza o meno di un vincolo giuridico tra i genitori, estendendo così la possibilità ad adottare il figlio del convivente.

È, infatti, fondamentale tutelare è l’interesse e l’inserimento del minore in un contesto idoneo al suo sviluppo, e questo non può essere certamente collegato ad una scelta personale e relativa alla sfera personale di due soggetti, di unirsi o meno in matrimonio.

Secondo la Corte d’Appello di Firenze non è giusto pregiudicare i diritti inviolabili garantiti al minore dalla Carta Costituzionale: questo il principio sul quale si è basata la sentenza, innovativa e rivoluzionaria.

Inadempimento delle condizioni di divorzio

inadempimento delle condizioni di divorzio

Le conseguenze civili e penali in caso di inadempimento delle condizioni stabilite in sede di divorzio

I casi di inadempimento delle condizioni di divorzio sono numerosissimi; le norme al riguardo hanno lo scopo principale di tutelare gli aventi diritto e di garantire che venga loro versato il mantenimento.

L’ordinamento giuridico offre diversi strumenti coercitivi agli aventi diritto in caso di inadempimento delle condizioni di divorzio e quindi del coniuge che si sottrae agli obblighi di mantenimento della prole e dell’altro coniuge fissati dalla sentenza di separazione o di divorzio.

L’art. 337-ter del Codice Civile ribadisce il dovere sancito anche dalla Costituzione di mantenimento, cura, educazione, istruzione e assistenza dei genitori nei confronti della prole.

L’articolo 156 del Codice Civile invece prevede che: “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.

L’inadempimento delle condizioni di divorzio e quindi dell’obbligo del mantenimento ha conseguenze sia sul lato penale che su quello civile.

Conseguenze civili dell’inadempimento delle condizioni di divorzio

Per la Legge anche l’inadempienza isolata nel pagamento dell’importo dovuto per il mantenimento è sufficiente perché gli aventi diritto si appellino all’articolo 156 del Codice Civile e richiedano la somma loro dovuta.

Anche quando non costituisce reato infatti il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento è un illecito civile e offre al coniuge più debole una serie di tutele tra cui:

  • la possibilità per gli aventi diritto di fare istanza al giudice perché emetta un ordine di pagamento diretto e quindi ordini a soggetti terzi che sono tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro all’obbligato, che una parte di queste ultime venga indirizzata agli aventi diritto;
  • la possibilità per gli aventi diritto di procedere al sequestro di parte dei beni dell’obbligato, come previsto dall’articolo 156 del Codice Civile e dalla legge sul divorzio (n. 898/1970);
  • la richiesta di ritiro del passaporto al coniuge obbligato al mantenimento perché egli non si sottragga ai suoi obblighi rendendosi irreperibile.

Conseguenze penali dell’inadempimento delle condizioni di divorzio

L’ inadempimento delle condizioni di divorzio costituisce anche un reato penale, perché ricade tra i reati puniti dall’articolo 570 del Codice Penale, modificato poi dal D. Lgs. n. 154/2013, che sanziona chiunque si sottragga agli obblighi di assistenza derivanti dalla responsabilità genitoriale o dal ruolo di coniuge con la pena della reclusione fino a un anno o di una multa pecuniaria da euro 103 fino a 1.032 euro.

In questo caso non basta l’inadempienza isolata ma piuttosto deve esserci un’omissione tale da privare materialmente il coniuge o i figli dei mezzi di sussistenza, determinando loro una condizione di disagio.

La revisione dell’assegno

Nel caso in cui il coniuge obbligato al mantenimento registri uno stato di impossibilità o grave difficoltà nel far fronte al versamento dell’assegno, egli può richiedere la modifica e la revisione dell’importo dell’assegno stesso.

L’articolo 156 del Codice Civile in caso di sopraggiunti giustificati motivi permette al Giudice di disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti adottati in ordine all’assegno di mantenimento in sede di divorzio.

Convivenza more uxorio: diritti e doveri del convivente more uxorio

convivenza more uxorio

Nella famiglia di fatto diritti e doveri sono diversi rispetto a quella tradizionale

La convivenza more uxorio, chiamata anche famiglia di fatto, indica due persone che decidono di condividere stabilmente la vita per motivi affettivi, ma senza essere legati dal vincolo matrimoniale.

L’assenza del patto matrimoniale segna, di fatto, la profonda differenza fra i diritti e i doveri dei coniugi e quelli dei conviventi more uxorio. Il fatto che non esista contratto di matrimonio svincola i conviventi da obblighi reciproci di natura personale (come la fedeltà reciproca) e patrimoniale (collaborazione materiale), ma di conseguenza anche dai diritti come la successione o gli alimenti.

Diritti e doveri nella convivenza more uxorio

Come detto, la convivenza more uxorio non viene riconosciuta come famiglia tradizionale dalla legge e non esiste una specifica giurisprudenza a riguardo.  Essenzialmente i diritti e i doveri fra conviventi sono quindi legati esclusivamente alla loro volontà e non a obblighi giuridici.

Per quanto riguarda gli acquisti effettuati durante la convivenza, ad esempio, entrano nel patrimonio di colui che li ha effettuati, ma i due patrimoni dei conviventi restano separati. Così, nel momento in cui la convivenza more uxorio dovesse interrompersi, nessuna legge impone all’ex convivente di provvedere all’altro, anche se questo resta sprovvisto di mezzi economici.
Infine, in mancanza di clausole testamentarie in favore del convivente, questo non può vantare alcun diritto sul patrimonio ereditario dell’altro convivente. Inoltre, anche quando previsto dal testamento, deve comunque fare i conti con i legittimi eredi (eventuali coniugi e figli) e con i loro diritti di successione.

Convivenza more uxorio e obbligazioni naturali

Se di diritti e doveri quindi si può parlare, nella convivenza more uxorio, questi derivano dall’inquadramento costituzionale che viene dato alla famiglia di fatto, con riferimento all’art.2 quando si parla di “doveri di solidarietà ed assistenza reciproca, caratterizzati da una dimensione morale, soprattutto nella loro fase dinamica, non ripetibili e non coercibile secondo la disciplina delle obbligazioni naturali”.

Eventuali somme che vengono prestate per l’assistenza materiale fra conviventi (ad es. le spese per la vita quotidiana in coppia), costituiscono un adempimento del tutto spontaneo non di obblighi, ma di doveri riconducibili solo all’etica e alla morale.

Queste prestazioni economiche, più precisamente, costituiscono l’adempimento di “obbligazioni naturali”, obbligazioni il cui unico effetto è la “soluti retentio”, ossia l’impossibilità di riavere indietro quanto si è pagato spontaneamente.

Contratti di convivenza

Per disciplinare la convivenza more uxorio è comunque possibile stilare dei contratti di convivenza rivolgendosi ad un notaio.

Tramite questi contratti è possibile regolamentare:

  • La partecipazione dei partner alle spese comuni
  • In caso di fine della convivenza, l’assegnazione dei beni acquistati quando la relazione era in essere
  • Quale uso debba essere fatto della casa residenziale comune
  • I rapporti patrimoniali reciproci in caso di interruzione della convivenza
  • Designazione di uno dei partner come amministratore di sostegno, in caso di impossibilità dell’altro partner malattia fisica o psichica
  • Decisioni sul mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli naturali (fermo restando che la tutela e la cura dei figli è obbligatoria per entrambi i genitori e che qualsiasi clausola o accordo possono essere cambiati o revocati in base al loro interesse primario)

Una volta redatto e sottoscritto, il contratto di convivenza sancisce obblighi giuridici come qualunque altro contratto e laddove i termini non venissero rispettati il partner che si ritiene parte lesa è autorizzato a rivolgersi al giudice.

 

 

 

Legge sul ricongiungimento familiare: come funziona

Legge sul ricongiungimento familiare

Come far entrare legalmente in Italia parenti di cittadini stranieri già residenti in maniera regolare. Norme e procedure.

La legge sul ricongiungimento familiare consente l’ingresso in Italia ai familiari di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.

L’Ambasciata Italiana del paese di origine concede al cittadino straniero il visto di ingresso per motivi di famiglia una volta che l’ufficio per l’Immigrazione della Prefettura competente ha concesso il via libera.

Con quali tipi di permesso è possibile usufruire della legge sul ricongiungimento familiare?

E’ possibile fare richiesta di ricongiungimento familiare per i titolari di:

– permesso di soggiorno per lavoro subordinato o per lavoro autonomo, di durata non inferiore a un anno

– permesso per asilo politico,

– permesso per protezione sussidiaria,

– permesso per motivi di studio, per motivi religiosi.

– permesso per motivi familiari,

– permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo

– permesso perchè si è in attesa di cittadinanza

La procedura

La strada da seguire per il ricongiungimento familiare si articola in due fasi: la verifica dei requisiti oggettivi per il rilascio del nullaosta (titolo di soggiorno, reddito, alloggio) e la verifica dei requisiti soggettivi (legami di parentela).

In via generale per usufruire della legge sul ricongiungimento familiare è necessario avere:

  • Copia del permesso di soggiorno la cui durata deve essere di almeno un anno.
  • Passaporto del richiedente;
  • Copia del passaporto dei familiari da ricongiungere

I requisiti sono invece:

– Reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale aumentato della metà dell’importo dell’assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere.

– la certificazione attestante il rapporto familiare che può essere presentata direttamente in patria dal familiare con il quale ci si vuole ricongiungere. Tale certificazione va tradotta, legalizzata e validata dall’autorità consolare italiana del Paese di appartenenza e/o di provenienza dello straniero.

– Certificato di stato famiglia in caso di ricongiungimento in favore del coniuge;

  • Certificato di matrimonio del genitore in caso di ricongiungimento con quest’ultimo;

Una volta inoltrata la domanda tramite il web decorrono i termini di 180 giorni previsti dalla normativa per la definizione della pratica ed il rilascio del nulla osta.

L’ufficio, acquisito dalla questura il parere sull’insussistenza di motivi ostativi all’ingresso del familiare per cui si chiede il ricongiungimento nel territorio nazionale e verificata l’esistenza dei requisiti, rilascia il nulla osta, oppure emette un provvedimento di diniego dello stesso. Contro il diniego del nulla-osta è possibile fare ricorso presso il Tribunale Ordinario del luogo di residenza.

Il rilascio del visto

Il cittadino straniero deve presentare i documenti che provano il rapporto di parentela presso il Consolato italiano del proprio paese di residenza. Se la verifica ha esito positivo il Consolato o l’Ambasciata rilasciano entro 30 giorni il visto per ricongiungimento.

Il Permesso di soggiorno per motivi di famiglia

Il permesso di soggiorno per motivi di famiglia viene rilasciato per una durata pari a quella del permesso del familiare che ha richiesto il ricongiungimento.

Tale permesso consente l’accesso ai servizi assistenziali, l’iscrizione a corsi di studio o di formazione professionale, di svolgere attività lavorativa subordinata o autonoma e qualora l’interessato lo richieda può essere convertito in permesso per motivi di lavoro.

La tutela dell’unità familiare

Alcune modifiche recentemente introdotte nella legge sul ricongiungimento familiare del nostro paese prevedono la salvaguardia dell’unità della famiglia.

Così recita il codice: «Nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.»

La separazione tra coniugi sposati all’estero quando il matrimonio non è stato trascritto

separazione all'estero

Cosa succede se una coppia di coniugi intende separarsi ma non ha trascritto il matrimonio

Il cittadino italiano che si trova all’estero può sposarsi sia con un altro cittadino italiano o con uno straniero; il matrimonio può avvenire dinanzi:

  • A un’autorità straniera locale: se nello stato straniero vengono rispettate le forme previste e sussistono le condizioni e la capacità necessarie per contrarre matrimonio secondo le norme del codice civile, il matrimonio è valido e produce effetti immediati anche nell’ordinamento italiano; in questo caso non sussiste l’obbligo delle pubblicazioni, a meno che non sia richiesto dalla legislazione straniera;
  • All’autorità diplomatica o consolare: il Console è autorizzato a celebrare i matrimoni dalla legge italiana; possono sposarsi due cittadini italiani o un cittadino italiano e uno straniero, che devono presentare l’istanza di celebrazione del matrimonio consolare, che può essere presentata di persona all’ufficio consolare (inviata per posta, fax o email) e corredata dalla copia dei documenti di identità dei richiedenti; una volta accolta l’istanza, la coppia deve richiedere le pubblicazioni.
  • A un ministro di un culto religioso: il matrimonio religioso all’estero è valido ed efficace in Italia solo se produce effetti civili per l’ordinamento dello Stato straniero in cui si è celebrato e dovrà essere trascritto, con valore dichiarativo e non costitutivo (ovvero non è necessaria la trascrizione perché il matrimonio sia considerato valido), nei registri dello stato civile italiani.

In questo articolo ci occuperemo in particolare del matrimonio contratto all’estero non trascritto.

La trascrizione

Il matrimonio celebrato all’estero per avere valore in Italia deve essere trascritto presso il Comune italiano competente; l’ufficio dello Stato civile estero provvede ad emettere l’atto di matrimonio in originale, che gli sposi devo rimettere alla Rappresentanza consolare, che a sua volta lo trasmetterà in Italia per la trascrizione nei registri dello stato civile del Comune competente.

E’ possibile anche presentare l’atto, legalizzato e tradotto, direttamente al Comune italiano di appartenenza.

E’ importante precisare però che il matrimonio contratto all’estero non trascritto non pregiudica la sua validità: la trascrizione non ha natura costitutiva, ma semplicemente dichiarativa e di pubblicità.

I matrimoni celebrati all’estero hanno immediata validità nel nostro ordinamento se celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera, e la loro trascrizione in Italia ha un valore meramente certificativo.

La separazione

Ma è possibile chiedere la separazione per il matrimonio contratto all’estero non trascritto?

L’iter da seguire in questo caso prevede prima la trascrizione, perché il matrimonio contratto all’estero non trascritto deve essere dichiarato prima di procedere con la separazione e l’eventuale divorzio.

Se i due soggetti sono di diversa nazionalità, la normativa a cui fare riferimento è quella della Legge 218/1995, che prevede che la separazione e lo scioglimento del matrimonio siano regolati dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda, quindi quella in cui la vita coniugale si è prevalentemente localizzata; stessa cosa per due coniugi stranieri, purché almeno uno dei due sia, anche solo di fatto, residente in Italia.

Mantenimento dei figli in caso di separazione: l’assegno

mantenimento dei figli in caso di separazione

Con quale modalità i genitori devono provvedere alla cura dei figli dopo la rottura sentimentale

Il dovere dei genitori a contribuire al mantenimento dei figli minorenni anche in situazioni di crisi familiare è stato sancito dalla riforma normativa del 2006, con la legge n.54 ”Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, all’art. 155 del Codice civile.

Quello che viene tutelato, in tutti i casi, è l’interesse della prole, che non deve essere in nessun modo danneggiato anche quando si verifica la rottura della relazione sentimentale dei genitori; i figli hanno diritto alla bi-genitorialità, quindi a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche dopo la separazione, il divorzio o la cessazione della convivenza di quest’ultimi; la legge prevede, infatti, che sia sempre privilegiato l’affidamento condiviso, nel quale il minore vive in modo stabile da un genitore, mantenendo però forti i contatti con l’altro, che interviene su tutte le decisioni che lo riguardano.

Tutto questo va, ovviamente, ad investire anche la questione del mantenimento dei figli in caso di separazione: l’art. 155 c.c. sancisce le regole che riguardano tanto la regolamentazione delle modalità di contribuzione (mantenimento diretto/indiretto), quanto l’entità della contribuzione (criteri di quantificazione dell’assegno del mantenimento).

La differenza tra il mantenimento dei figli in caso di separazione diretto e indiretto sta nel fatto che nella prima, questo si manifesta nel soddisfacimento immediato dei bisogni, mentre nel secondo caso attraverso la corresponsione di un assegno periodico che copre le necessità della prole.

L’assegno di mantenimento

La forma di mantenimento dei figli in caso di separazione che prevale, anche nell’affidamento congiunto, è quella dell’assegno, così la Giurisprudenza ha sempre confermato, anche dopo la riforma del 2006.

A disporre l’obbligo del genitori a versare l’assegno di mantenimento a favore della prole, è il Giudice, che deve tener conto di diversi fattori:

  • Esigenze attuali della prole;
  • Tenore di vita tenuto dalla prole durante il periodo di convivenza con entrambi i genitori;
  • Tempi di permanenza presso ciascun genitore;
  • Reddito dei genitori;
  • Valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

Per determinare la somma da versare per il mantenimento dei figli in caso di separazione, viene data rilevanza agli accordi liberamente sottoscritti dai coniugi, e qualora si rendesse necessario sarà il Giudice a indicare la misura dell’assegno, valutando la capacità economica e il patrimonio nel complesso.

Nel caso in cui entrambi i genitori non abbiano i mezzi sufficienti, gli ascendenti in ordine di vicinanza di grado, sono tenuti dalla legge a aiutarli, fornendo loro i mezzi necessari per adempiere ai loro obblighi nei confronti della prole; se invece il genitore obbligato risulti inadempiente, il Presidente del Tribunale può ordinare che parte dei suoi redditi siano versati a favore dei figli.