Comunione convenzionale dei beni e comunione legale: la differenza

comunione convenzionale dei beni

I due regimi sono simili, ma con alcune differenze fondamentali

La comunione legale dei beni è quel regime patrimoniale che si instaura con il matrimonio laddove non venga specificata una volontà diversa degli sposi: questa consuetudine è in atto dal 1975, quando con la riforma è stata equiparata la posizione patrimoniale dei coniugi.

La comunione legale non è però l’unica scelta a disposizione degli sposi: possono optare per la comunione convenzionale dei beni o per la separazione dei beni.

La comunione dei beni

In linea generale, rientrano nella comunione dei beni tutti i beni acquistati dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, i proventi dell’attività lavorativa di ciascun coniuge e le aziende gestite da tutti e due e costituite dopo il matrimonio, così come i beni comprati con il denaro di un solo coniuge. Non rientrano nella comunione, al contrario, i beni personali e che i coniugi ricevono per donazione e eredità, oppure che sono stati acquistati prima delle nozze. Il regime di comunione dei beni può essere modificato o sciolto per volontà dei coniugi, questo accade automaticamente in caso di morte dei uno dei due. La comunione dei beni va sempre amministrata congiuntamente, fatta eccezione per l’ordinaria amministrazione.

La comunione convenzionale dei beni

La scelta della comunione convenzionale dei beni può essere vista come una via di mezzo fra comunione e separazione. Con questo regime, infatti, i coniugi accettano la comunione dei beni ma decidono di regolarla tramite un atto notarile. Questa forma patrimoniale infatti ha un carattere convenzionale in quanto è il risultato di una volontà espressa da tutte e due le parti.

Questo atto di comunione convenzionale dei beni si stipula per indicare e disciplinare in modo dettagliato quali beni rientrano nella comunione e quali no. Con questo atto i coniugi hanno una libertà maggiore di inclusione ed esclusione dalla comunione dei beni, ma con alcuni punti fermi: l’amministrazione della comunione convenzionale spetta comunque ad entrambe e le quote dei due coniugi sono divise al 50%.

Restano comunque escluse dalla comunione convenzionale dei beni:

  • Beni di uso personale di ciascun coniuge
  • Beni connessi con lo svolgimento della professione
  • Beni che vengono ottenuti come risarcimento di un danno
  • Pensione che viene percepita per la perdita totale o parziale della capacità lavorativa.

Differenze fra comunione dei beni e comunione convenzionale dei beni

Le differenze fra comunione e comunione convenzionale dei beni non sono poi così accentuate: quella fondamentale è che la comunione dei beni si instaura automaticamente al momento del matrimonio, se non diversamente indicato, mentre perché una comunione convenzionale dei beni sia valida questa deve essere stabilita con un atto pubblico e di fronte al notaio.

Fatte salve poi alcune categorie di beni (quelli personali, legati alla professione o provenienti da pensioni di invalidità o risarcimenti), la comunione convenzionale è utile per far ricadere nella comunione dei beni anche quelli che erano di proprietà di uno dei due coniugi prima del matrimonio o i redditi, comunque prodotti, di entrambe durante la vita matrimoniale.

La procedura di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale

delibazione delle sentenze ecclesiastiche

Quando è possibile trascrivere una sentenza di nullità in Italia

Che cos’è la delibazione

 Con il termine «delibazione» si intende la procedura giudiziaria tramite cui in uno Stato viene concessa, dietro domanda specifica, efficacia giuridica ad un provvedimento giudiziario emesso da un altro Stato.

A questa procedura possono essere sottoposte anche le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, che vengono emesse dall’ordinamento giudiziario canonico.

Secondo l’art. 8, n. 2 del Concordato fra Chiesa e Stato infatti, la sentenza ecclesiastica di nullità di un matrimonio concordatario acquista validità nella Repubblica Italiana solo dietro domanda congiunta dei coniugi (o uno di essi), da inoltrarsi alla Corte di Appello.

Domanda di delibazione delle sentenze ecclesiastiche

Le domande di delibazione delle sentenze ecclesiastiche devono essere redatte da un procuratore legale e richiedono la presenza di due presupposti indispensabili:

  • La duplice pronuncia di nullità del matrimonio, che risulti da due uguali decisioni giudiziali emanate in ambito ecclesiastico che dichiarano la nullità del matrimonio,
  • Il decreto di esecutività, rilasciato dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, organo di controllo dell’attività giudiziaria ecclesiastica, che testimonia l’esecutività della pronuncia.

La domanda deve essere presentata alla Corte d’Appello competente per territorialità, basandosi sul comune in cui è stato celebrato il matrimonio.

Prima di rilasciare le sentenze di delibazione la Corte d’Appello effettua alcune indagini.

In particolare:

  • Accerta l’esistenza e l’autenticità delle due pronunce di nullità del matrimonio e del decreto successivo rilasciato dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;
  • Accerta che il matrimonio dichiarato nullo fosse un matrimonio canonico trascritto ai fini civili (quindi un matrimonio cosiddetto concordatario)
  • Accerta che la validità e l’efficacia del procedimento di fronte tribunale ecclesiastico,
  • Accerta che siano soddisfatte anche le condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere:
  1. Assenza di una sentenza passata in giudicato contrastante con quella ecclesiastica
  2. Non esista un giudizio pendente davanti ad un giudice italiano fra le stesse parti con lo stesso oggetto, cioè la richiesta di nullità
  • Assenza di incompatibilità fra la sentenza ecclesiastica e l’ordine pubblico italiano
  • Stabilisce che, una volta resa esecutiva la sentenza nell’ordinamento italiano, il coniuge ritenuto in buona fede possa usufruire di provvedimenti economici provvisori

Effetti della sentenza di delibazione

La delibazione delle sentenze ecclesiastiche fa venir meno gli effetti civili del matrimonio canonico fin dal giorno della celebrazione (restano intoccabili e impregiudicati gli eventuali rapporti di filiazione e gli obblighi ad essi collegati).

Viene meno dunque anche la necessità di fare domanda di divorzio, almeno che esso non fosse già stato sancito.

In questo caso restano invariati gli effetti patrimoniali e personali decisi in sede di divorzio.

La sentenza di delibazione delle sentenze ecclesiastiche non è invece possibile quando si parla di matrimonio rato e non consumato (si tratta di un matrimonio giuridicamente valido tra due persone battezzate a cui non sia però seguito un atto coniugale finalizzato alla generazione della prole) poiché in quel caso si tratta di provvedimenti discrezionali, emessi con procedimento amministrativo e non giudiziario, nei quali non vengono ravvisate le garanzie basilari giurisdizionali sancite dalla Costituzione italiana.

 

 

 

 

Cosa succede ai figli adottati quando la coppia si separa

Cosa succede ai figli adottati quando la coppia si separa

Tranne che in casi particolari valgono le stesse disposizioni per tutti i figli, adottati e non

La separazione della coppia porta sempre molto scompiglio all’interno della famiglia, soprattutto provoca sofferenza per i figli che devono affrontare un cambiamento radicale nelle loro abitudini di vita.

Il periodo della separazione è un momento molto delicato perché determina il verificarsi o meno del successivo divorzio; la legge italiana, infatti, prevede questo tempo per dar modo alla coppia di riflettere e capire se è possibile una riconciliazione; i tempi previsti si sono ultimamente ridotti con l’entrata in vigore della legge sul divorzio breve.

Cosa succede ai figli adottati?

Partiamo dal presupposto che tutti i figli godono degli stessi diritti e vengono trattati nello stesso modo in caso di separazione dei genitori, che siano figli adottivi o meno.

In questo caso, infatti, non è l’adozione a fare la differenza; i problemi che la famiglia dovrà affrontare sono gli stessi che affrontano le famiglie che hanno avuto dei figli in modo “naturale”; il legame di sangue, così come la provenienza culturale del bambino adottato, non importa, come invece il legame che ha stabilito con i genitori o con uno di essi, che influisce in modo determinante.

L’unica differenza la troviamo in un caso specifico: la Corte di Cassazione ha accolto, infatti, la domanda promossa da un coniuge separato di revocare il decreto che aveva disposto l’adozione del figlio; dobbiamo sottolineare però che la revoca non viene disposta d’ufficio, ma deve essere sempre richiesta da uno dei due genitori, oppure su iniziativa di un Pubblico Ministero, o degli assistenti sociali che devono monitorare l’andamento dei rapporti tra genitori adottanti e adottati.

Nella normalità, in caso di separazione della coppia, il figlio adottato si troverà a dover essere affidato in modo congiunto a entrambi i genitori, o in modo esclusivo a uno dei due.

Vediamo le differenze tra i due tipi di affidamento.

Affidamento condiviso

La regola fondamentale dell’affidamento condiviso è stata disposta dalla legge n.54 del 2006, e il presupposto è quello dell’assenza di “conflittualità insanabili” tra genitori, che quindi permette la presenza di armonia.

In questo tipo di affidamento i figli hanno il diritto di conservare un rapporto equilibrato con entrambi i genitori; infatti, anche se il Giudice decide dove deve vivere stabilmente la prole, tutti e due le parti partecipano alle decisioni che la riguardano, e non si parla più di “diritto di visita”, ma presenza presso l’uno e l’altro genitore.

Affidamento esclusivo
In caso di separazione della coppia, anche per i figli adottivi è possibile disporre questo tipo di affidamento, ma solo in situazioni particolari.

Questo prevede che il genitore cui sono affidati i figli eserciti in via esclusiva la responsabilità genitoriale, salvo diverse disposizioni, anche se le decisioni di maggior interesse sono generalmente prese di comune accordo.

Il genitore non affidatario deve vigilare sull’istruzione e l’educazione della prole e può ricorrere anche al Giudice quando lo ritiene opportuno.

Divorzio giudiziale

divorzio giudiziale

Quando i due coniugi non trovano un accordo si ricorre al procedimento di divorzio giudiziale

Quando i due coniugi non trovano un accordo su tutte le condizioni di divorzio, patrimoniali e non solo, oppure quando uno dei due coniugi non ha intenzione di concedere all’altro coniuge il divorzio, si rende necessaria l’instaurazione di un procedimento di divorzio giudiziale presso il Tribunale di riferimento.

Come nel caso della separazione giudiziale, il divorzio giudiziale si avvia nel momento in cui le due parti non riescono a raggiungere un accordo, cosa che invece accade nel divorzio congiunto o consensuale.

Il motivo del mancato accordo risiede molto spesso nelle diverse esigenze e richieste in materia di mantenimento del coniuge più debole, affidamento e mantenimento dei figli, assegnazione della casa familiare, divisione dei beni residui, ecc.

Si procede con il divorzio giudiziale anche nel caso di un coniuge intenzionato a porre fine al matrimonio in disaccordo con l’altra parte.

In tale caso il primo procede alla presentazione della domanda di divorzio al giudice competente e con l’assistenza di un legale cita in Tribunale il coniuge opponente, chiedendo al Giudice di deliberare sulle domande e questioni proposte.

Tempi del divorzio giudiziale

Rispetto alla procedura di divorzio congiunto, che trova compimento solitamente nel giro di 4 mesi dal deposito della domanda, il divorzio giudiziale ha una durata mediamente maggiore, a seconda della conflittualità dei coniugi e del carico di lavoro del Tribunale.

In alcuni casi si può concludere anche alla prima udienza, se il Giudice accetta tutte le richieste effettuate da una delle parti.

In linea di massima però si tratta di una vera e propria causa civile che, mediamente, dura fino a uno o due anni.

La domanda di divorzio

La richiesta di divorzio giudiziale o contenzioso può essere presentata nel momento in cui sussiste uno dei casi previsti dalla Legge sul Divorzio, quando si è di fronte all’impossibilità di mantenere o ricostituire la comunione spirituale o materiale fra i coniugi.

La domanda di divorzio giudiziale deve contenere:

  • l’esposizione dei fatti ed elementi di diritto sui quali si fonda la domanda;
  • il riferimento a figli di entrambi i coniugi;
  • la richiesta di assunzione di eventuali mezzi di prova (prova testimoniale, perizia, ecc.);
  • le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni di entrambi i coniugi;
  • l’estratto per riassunto dell’atto di matrimonio;
  • il certificato di residenza e lo stato di famiglia di entrambi i coniugi;
  • la copia autentica del provvedimento conclusivo del procedimento di separazione;

Una volta ricevuta la domanda il presidente del Tribunale di riferimento fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi, durante la quale cercherà di conciliare le parti per giungere ad un accordo di massima.

Qualora la conciliazione fallisca viene designato il Giudice Istruttore e fissata la data della nuova udienza di fronte a quest’ultimo.

Inizia così la fase istruttoria che si conclude con una sentenza impugnabile in appello, dove le condizioni di divorzio possono venire modificate o annullate.

 

Assegno di mantenimento fra conviventi

assegno di mantenimento fra conviventi

L’assegno di mantenimento: quando è dovuto e quando può decadere

Assegno di mantenimento fra conviventi

La convivenza more uxorio, che si identifica in due persone che decidono di vivere insieme per motivi affettivi ma fuori dal vincolo del matrimonio, è di fatto svincolata da obblighi e diritti propri del patto matrimoniale, fra cui anche quello dell’assegno di mantenimento per il coniuge indigente.

L’assegno di mantenimento fra conviventi è una specifica dell’assegno di mantenimento: quest’ultimo è infatti un provvedimento economico che viene previsto dal giudice in sede di separazione tra i coniugi e obbliga al versamento di una somma di denaro, suscettibile di cambiamenti nel tempo, al coniuge economicamente debole o agli eventuali figli nati dal matrimonio.

In caso di coppie non sposate, questo diritto del coniuge più debole decade: resta in piedi solo il mantenimento per i figli nati dalla relazione, che è distinto dalla relazione che lega i loro genitori.

L’unico modo in cui fra due conviventi può instaurarsi l’obbligo di un assegno di mantenimento alla fine della relazione è la sottoscrizione precedente di un contratto di convivenza, di fronte ad un notaio, che lo preveda: a quel punto il convivente a cui ne è stato accordato il diritto ha facoltà di rivolgersi ad un giudice per pretenderlo.

Decadimento dell’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento fra conviventi stabilito dal giudice in favore del coniuge più debole in fase di separazione, come detto, può essere in seguito suscettibile di modifiche. Il motivo principale è che le condizioni economiche del coniuge che beneficia dell’assegno sono cambiate.

Ad essere messa in discussione infatti è l’adeguatezza dei mezzi del coniuge in questione: se i suoi mezzi sono inadeguati a mantenere il tenore di vita che, si presuppone, avrebbe mantenuto continuando la relazione coniugale, l’assegno gli spetta di diritto.

Ma se improvvisamente la condizione del coniuge debole cambia e i mezzi diventano “adeguati”, può cambiare anche la sostanza dell’assegno di mantenimento, che può anche decadere.

Assegno di mantenimento e nuova convivenza

Anche una nuova relazione stabile, sancita da una convivenza more uxorio, può far decadere un assegno di mantenimento: secondo alcune sentenze della Cassazione (n. 18959/2013, 2709/2009, 24056/2006), la costituzione di una famiglia di fatto, ancor più se accompagnata dalla nascita di figli, giustifica la revisione (o addirittura il decadimento) dell’assegno di mantenimento. Questo avviene però solo se questa convivenza ha carattere di continuità tale da far presumere che il beneficiario dell’assegno tragga da questa convivenza vantaggi monetari o almeno risparmi di spesa.

Questo frangente non è però automatico: non sempre in presenza di una nuova convivenza post separazione l’assegno di mantenimento decade. Se il coniuge “debole” resta tale, se la sua situazione economica non cambia e se continua a non lavorare o a lavorare in modo saltuario, non ottenendo quindi vantaggi di sorta dalla nuova unione sentimentale, il suo diritto all’assegno di mantenimento resta inalienato.

Matrimonio con un cittadino extracomunitario: i documenti necessari

matrimonio con un cittadino extracomunitario

Quali documenti occorrono per contrarre matrimonio con un cittadino extracomunitario

Matrimoni misti e matrimonio con un cittadino extracomunitario: se ne sente spesso parlare: si tratta di quelle unioni che hanno come protagonisti cittadini provenienti da Paesi differenti.

Le cose non sono semplici in questo tipo di matrimoni, non solo a causa delle differenze culturali che caratterizzano gli sposi, ma anche per la farraginosa burocrazia che si deve affrontare per arrivare in regola al giorno delle nozze e far sì che il matrimonio sia valido.

Perché basta l’assenza di un documento a far saltare tutto.

Ecco perché è quindi importante informarsi per tempo, magari mesi prima della data stabilita per le nozze, e darsi da fare per recuperare tutti di documenti richiesti nel Paese dove gli sposi convoleranno a nozze.

Anche nel nostro Paese è possibile contrarre legalmente matrimonio con un cittadino extracomunitario.

I matrimoni celebrati con rito civile e tra un cittadino italiano e uno straniero sono in costante aumento e probabilmente questa tendenza non si fermerà vista la facilità con la quale le persone si spostano oggi di Paese in Paese.

Secondo la nostra legge, lo straniero che deve sposarsi con un cittadino o una cittadina di nazionalità italiana deve presentare una serie di documenti per far sì che il matrimonio con un cittadino extracomunitario possa essere definito valido.

È necessario quindi produrre:

  • Documento d’identità valido sul piano internazionale (passaporto).
  • Certificato di nascita proveniente dal proprio paese di nascita tradotto e autenticato presso l’Ambasciata Italiana del Paese d’origine.
  • Nulla osta dalla parte del proprio Paese d’origine per contrarre liberamente matrimonio con un cittadino extracomunitario. Dal documento, rilasciato dagli uffici di competenza del Paese di provenienza – che corrispondono in Italia all’ufficio anagrafe, deve risultare che secondo la legge del Paese non ci siano impedimenti al matrimonio.

Come nel caso del certificato di nascita, il nulla osta deve essere tradotto e autenticato presso l’Ambasciata Italiana del Paese di provenienza.

È necessario ricordarsi di far tradurre in lingua italiana e autenticare presso l’Ambasciata d’Italia del proprio Paese d’origine sia il nulla osta che il certificato di nascita, affinché possano essere accettati dall’Ufficiale di Stato Civile del comune dove gli sposi convoleranno a matrimonio.

Per richiedere il nulla osta e il certificato di nascita vi è anche la possibilità di delegare un parente o un connazionale.

La persona dietro la presentazione di regolare delega, si presenteràà a richiedere i documenti e, in seguito, si recherà presso la sede dell’Ambasciata italiana del Paese, per richiedere la legalizzazione dei certificati ossia la convalidazione della traduzione dei documenti che vanno ufficializzati, altrimenti sono da ritenersi nulli. Sarà la persona stessa, e non l’Ambasciata, ad inviarli in Italia nella maniera che riterrà più opportuna e sicura.

Una volta ottenuti i documenti necessari, la coppia si potrà recare presso il comune di residenza della persona che vuole sposare per consegnarli e richiedere all’Ufficiale di Stato Civile le pubblicazioni di matrimonio.

C’è da sottolineare che anche nel caso in cui l’interessato non abbia un permesso di soggiorno valido, l’Ufficiale di Stato Civile non può rifiutarsi di procedere alle pubblicazioni e quindi di celebrare il matrimonio con un cittadino extracomunitario.

Divorzio tra coniugi sposati all’estero

divorzio tra coniugi sposati all'estero

Cosa cambia con il divorzio tra coniugi sposati all’estero

Il cittadino italiano che si trova all’estero può sposarsi sia con un altro italiano che con uno straniero; in questo articolo ci occuperemo in particolare del divorzio tra coniugi sposati all’estero; ma partiamo dal capire che la celebrazione può avvenire dinanzi:

  • A un’autorità straniera locale: il matrimonio è valido e produce effetti immediati anche nell’ordinamento italiano se nello stato straniero vengono rispettate le forme previste e sussistono le condizioni e la capacità necessarie secondo le norme del codice civile; in questo caso non sussiste l’obbligo delle pubblicazioni, a meno che non sia richiesto dalla legislazione straniera;
  • All’autorità diplomatica o consolare: il Console è autorizzato a celebrare i matrimoni dalla legge italiana, e possono unirsi in matrimonio due cittadini italiani o un cittadino italiano e uno straniero, che devono presentare l’istanza di celebrazione del matrimonio consolare; questa può essere presentata di persona all’ufficio consolare (o inviata per posta, fax o email) e corredata dalla copia dei documenti di identità dei richiedenti; una volta accolta l’istanza, la coppia deve richiedere le pubblicazioni.
  • A un ministro di un culto religioso: il matrimonio religioso all’estero è valido ed efficace in Italia solo se produce effetti civili per l’ordinamento dello Stato straniero in cui si è celebrato e dovrà essere trascritto, con valore dichiarativo e non costitutivo (ovvero non è necessaria la trascrizione perché il matrimonio sia considerato valido), nei registri dello stato civile italiani.

Ma come funziona il divorzio tra coniugi sposati all’estero?

Coniugi italiani

Il matrimonio che viene celebrato all’estero per avere valore (non validità) in Italia deve essere sempre trascritto presso il Comune italiano competente; l’ufficio dello Stato civile estero emette l’atto di matrimonio in originale; gli sposi devono rimetterlo alla Rappresentanza consolare, che a sua volta provvederà a trasmetterlo in Italia per la trascrizione nei registri dello stato civile del Comune competente.

E’ possibile anche presentare l’atto, legalizzato e tradotto, direttamente al Comune italiano.

Una volta trascritta, l’unione è riconosciuta anche in Italia, e quindi l’iter previsto dalla giurisdizione per il divorzio tra coniugi sposati all’estero è lo stesso che per quelli contratti nel nostro paese.

Coniuge italiano e straniero

Se i coniugi sono di diversa nazionalità e intendono e divorziare, la normativa a cui fare riferimento è quella della Legge 218/1995, che prevede che lo scioglimento del matrimonio sia regolato dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda, quindi quella in cui la vita coniugale si è prevalentemente localizzata.

Coniugi stranieri

Stessa cosa vale per il divorzio tra coniugi sposati all’estero, anche se tutti e due cittadini stranieri: la Corte di Cassazione ha infatti stabilito, con la sentenza 19994/2004, che il Giudice ha la competenza per decidere sulla separazione e sul divorzio, a patto però che almeno uno dei due coniugi sia residente (anche solo di fatto) in Italia.

Mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio

mantenimento di un ex coniuge in caso di separazione

Quando versare un assegno per il mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio 

Dal matrimonio derivano diritti e doveri che tutte e due le parti della coppia sono tenute a rispettare e tra queste troviamo il mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio.

Sia durante la fase di separazione, che dopo il divorzio, il Giudice stabilisce una quota che il coniuge più debole economicamente andrà a percepire dall’altro periodicamente.

L’assegno di divorzio

Il mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio si concretizza attraverso l’assegno di divorzio, che è un contribuzione economica assistenziale; il diritto alla percezione dell’assegno viene accertata dal Giudice, che deve verificare la presenza di alcuni presupposti.

Tra questi di fondamentale importanza l’impossibilità di uno dei due coniugi di reperire i mezzi necessari al suo sostentamento, anche se percepisce un reddito, che però risulta non sufficiente.

Questa norma prevista dalla Legge sul divorzio è stata ampliata dai Giudici, che spesso affermano che il presupposto per la concessione dell’assegno, volto al mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio, è quello delle insufficienti risorse finanziarie che consentirebbero di conservare un tenore di vita simile a quello avuto durante il matrimonio, piuttosto che da una effettivo stato di bisogno.

L’importo dell’assegno di divorzio

Per stabilire la somma dell’assegno il Tribunale deve fare un’attenta valutazione, tenendo conto di diversi fattori:

  • Condizioni dei coniugi (abitudini, ambiente sociale, stato di salute ecc.);
  • Ragioni della decisione (quelle che hanno portato al divorzio);
  • Contributo umano ed economico dato da ciascun coniuge;
  • Reddito di ciascun coniuge;
  • Tenore di vita durante la vita matrimoniale;
  • Tutto quello che valutato anche in rapporto alla durata del matrimonio (un matrimonio breve potrebbe indurre il Tribunale a non concedere l’assegno).

Il mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio non è più obbligatorio in diversi casi:

  • L’ex coniuge si risposa;
  • Il coniuge tenuto al versamento muore (in questo caso il coniuge beneficiario può godere della pensione di reversibilità);
  • Il beneficiario trova i mezzi per provvedere in modo autonomo al suo sostentamento.

Assegno di divorzio

La differenza tra assegno di separazione e di divorzio sta nella loro natura, in quanto quest’ultimo si basa sulla rottura definitiva del vincolo matrimoniale, anche se la sua finalità è comunque assistenziale; è quindi volto a supportare economicamente il coniuge debole.

L’assegno di divorzio può essere riconosciuto al coniuge che ne fa richiesta nel momento in cui venga verificato il fatto che non dispone di mezzi propri adeguati, e che non possa procurarseli per ragioni obiettive.

La differenza tra assegno di separazione e di divorzio sta, infatti, sostanzialmente nel fatto che per quello divorzile la Legge si basa su requisiti più rigidi al fine del riconoscimento; il legame della coppia è infatti definitivamente chiuso e quindi non basta che uno dei due non abbia una capacità economica sufficiente, ma che sia oggettivamente nella condizione di non poter lavorare, ad esempio per inabilità fisica.

Come l’assegno di mantenimento, anche quello divorzile può essere versato mensilmente o liquidato in un’unica soluzione, con un accertamento del Tribunale verso la somma stabilita.

Il diritto all’assegno divorzile cessa quando il coniuge che lo riscuote si risposa, mentre con la convivenza non si perde il diritto sia all’assegno di mantenimento che a quello di divorzio, a meno che non si dimostri un miglioramento significativo e stabile della condizione di vita.

Matrimonio di stranieri in Italia

matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario

Cosa succede quando si sposa con rito civile un cittadino non comunitario

Anche nel nostro paese è possibile contrarre un matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario.

Anche se non si ha la residenza o il domicilio in Italia ci si può sposare ossia contrarre matrimonio nel nostro Paese o secondo la sua legge nazionale dinanzi all’autorità diplomatica o consolare del suo Paese, oppure secondo la legge italiana dinanzi all’ufficiale di stato civile o al Sindaco o a un sacerdote se sono rispettate le regole previste dal rito concordatario.

Se si sceglie la celebrazione secondo la legge italiana per contrarre matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario, è fatto obbligo di seguire la legislazione prevista dall’ordinamento italiano per contrarre matrimonio, pertanto non devono sussistere gli impedimenti previsti dal codice civile: interdizione, difetto di libertà di stato, parentela, divieto temporaneo di nuove nozze ecc.

Deve essere rispettato anche il limite dell’età minima (18 anni, o 16 con liberatoria genitoriale).

I cittadini stranieri che risiedono o hanno domicilio in Italia dovranno richiedere le pubblicazioni all’ufficiale di stato civile del comune di residenza o di domicilio.

Devono, inoltre, produrre una dichiarazione redatta dall’autorità competente del proprio Paese (sono autorità competenti sia quelle situate all’estero ed individuate dalla legge dello stato in questione, sia il consolato straniero in Italia), dalla quale risulti che nulla osta al matrimonio secondo le leggi cui sono sottoposti (nulla-osta). Il nulla-osta deve essere tradotto e legalizzato, salvo i casi di esenzione eventualmente previsti in accordi internazionali siglati dall’Italia.

Dovranno produrre, infine, un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano (permesso di soggiorno o carta di identità).

Fanno eccezione ai precedenti adempimenti due Stati: U.S.A. e Australia.

Nel caso di matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario proveniente da uno di questi due paesi è necessario seguire i seguenti passi:

vista l’assenza di autorità competenti a rilasciare il nulla osta l’Italia ha con questi Paesi alcuni accordi ad hoc, secondo i quali il cittadino statunitense o l’australiano che non riesce a produrre la documentazione prevista dal nostro Codice Civile, presenti all’ufficiale di stato civile competente i seguenti documenti:

Una dichiarazione giurata resa davanti alla competente autorità consolare da cui risulti che nulla osta al matrimonio;

I documenti rilasciati dalle autorità statunitensi o australiane dai quali risulti evidente la prova che, in base alle leggi in vigore in quel paese alle quali il richiedente è soggetto, nulla si oppone al matrimonio.

La giurisprudenza prevalente sembra escludere tra i doveri del nostro ufficiale di stato civile il compito di una ulteriore attività di accertamento; questi, quindi, si limiterà a ricevere il nulla osta dello stato straniero salvo i casi in cui la celebrazione possa minacciare l’ordine pubblico o il buon costume.

L’ufficiale di stato civile, una volta ricevuto il nulla-osta, procede con le pubblicazioni secondo le formalità previste per i cittadini italiani.

Se i cittadini stranieri non hanno la residenza o i domicilio in Italia, l’ufficiale di stato civile redige un processo verbale e potrà procedere alla celebrazione in assenza di pubblicazioni.

Il matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario può ritenersi valido se la disciplina dello Stato ove viene svolto non abbia nulla da obiettare in proposito.

Il divorzio senza l’avvocato

il divorzio senza l'avvocato

Quali sono le condizioni per poter procedere con il divorzio senza l’aiuto di un legale

Fino all’emanazione della legge sul divorzio nel 1970, in Italia non era possibile sciogliere il matrimonio, se non per la morte di uno dei coniugi; il vincolo era quindi legalmente indissolubile.

La legge n. 898/1970 “Fortuna-Baslini” ha poi sancito tutti i casi nei quali il divorzio è consentito, e tra questi il più frequente è quello della separazione legale dei coniugi, che deve durare senza interruzioni da un periodo di tempo che ora si è ridotto a 12 mesi, ma anche a 6 mesi in caso di divorzio consensuale, grazie alla nuova legge sul divorzio breve, emanata il 6 maggio 2015.

Il divorzio può essere, infatti, di due tipi: congiunto o giudiziale; nel primo caso tra i coniugi ci sono degli accordi, sui quali si basa la procedura che risulta sicuramente più snella; nel caso invece del divorzio giudiziale, la coppia si trova ad affrontare delle controversie che il Giudice sarà tenuto a risolvere, per pronunciare la sentenza di divorzio, completa della varie disposizioni (affido dei figli, assegno divorzile e così via.)

Il divorzio congiunto senza avvocato

Con la legge n. 132 del 2014 è ancora più facile divorziare, grazie a delle semplificazioni che sono state messe in atto per quanto riguarda la procedura; dall’11 dicembre 2014 è infatti possibile avviare il divorzio congiunto senza avvocato, ma anche separarsi o modificare le condizioni adottate dai provvedimenti precedenti.

L’assistenza dell’avvocato diventa facoltativa, anche se nel divorzio congiunto senza avvocato non mancano i vincoli; è possibile infatti semplificare la procedura solo se:

  • Non ci sono figli minori, portatori di handicap gravi o economicamente non sufficienti;
  • L’accordo non deve contenere atti con cui si dispone il trasferimento di diritti patrimoniali.

La legge, quindi, ad oggi prevede due percorsi diversi: il divorzio congiunto senza avvocato davanti al Sindaco, e quello che invece prevede la negoziazione assistita da legali, che si segue quando i coniugi non hanno sottoscritto un accordo, presente invece nel primo caso.

Comunque, entrambi sono possibili solo se la separazione o il divorzio sono consensuali.

Procedimento davanti al Sindaco

Il divorzio congiunto senza avvocato si svolge davanti al Sindaco del comune di residenza di uno dei due coniugi, o di quello presso il quale è stato celebrato il matrimonio; la coppia deve quindi concludere l’accordo di separazione, ma è anche possibile modificare delle condizioni di provvedimenti presi in precedenza.

Comunque il valore di questi accordi non è lo stesso di quelli giudiziali; dopo il divorzio, infatti, il Sindaco non prima che siano passati 30 giorni, deve invitare i coniugi a comparire davanti a lui per la conferma definitiva.

Anche se l’articolo 12 della legge n. 162/2014 stabilisce che gli accordi così depositati non possono contenere alcun patto di natura patrimoniale, la circolare n. 6/2015, ha precisato che l’accordo concluso può contenere la previsione di un assegno periodico.